Sembrano passate ere geologiche da quando Volodymyr Zelensky rappresentava il faro della libertà per l’Occidente. Applausi, agiografie e così via: un tripudio per quel coraggioso leader ucraino che si ribellava alla prepotenza della Russia di Vladimir Putin. Sono in realtà passati poco più di tre anni dall’invasione delle truppe del Cremlino e il sentiment nei confronti del presidente ucraino è cambiato parecchio. E non solo a Kiev: in Occidente, Italia compresa, il giudizio sul leader di Kiev si è raffreddato parecchio.
Prendiamo come riferimento proprio quanto accade da noi. Zelensky è stato elogiato da tutti, nessuno escluso. Ricordiamo le campagne nei suoi confronti, con tanto di invito al Festival di Sanremo, l’evento più seguito dagli italiani. Un simbolo vero e proprio. E ora? Beh, il quadro è mutato radicalmente. Basti pensare che nella piazza romana convocata da Serra quasi nessuno ha nominato il presidente ucraino, parlando solo di pace, guerra, armi e così via. Volodymyr non è più al centro dei pensieri. Anzi, rischia quasi di trasformarsi in un peso per qualcuno.
Perché rischiare l’allargamento del conflitto? Perché non trattare con Putin? Queste domande un tempo non potevano nemmeno essere pensate, mentre ora sono sempre più comuni. E spesso con un tono stizzito nei confronti di Zelensky, reo di non fare un passo indietro, di non essere disponibile alle elezioni, di non cedere questo o quello al Cremlino. I tempi cambiano. Come evidenziato in precedenza, tre anni fa ti avrebbero accusato di essere al soldo di Putin per esternazioni che oggi fanno un po’ tutti, a prescindere dalla bandiera politica.
La situazione è molto delicata per il presidente ucraino. Dopo il voto negli Stati Uniti, Zelensky è uscito sconfitto e amareggiato, trovandosi a dipendere da un’Europa spesso divisa e che soprattutto non ha le stesse risorse militari degli Stati Uniti. Con Trump la situazione è tornata serena, ma sicuramente resta distante anni luce rispetto a quando venne trionfalmente al Congresso americano, visto come il simbolo della lotta tra il bene e il male. Esattamente quanto accaduto in Italia, né più né meno.
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Uno dei principali limiti di Zelensky è stato forse il suo progressivo isolamento. L’uomo semplice e disponibile che un tempo era riuscito a conquistare molti consensi si è progressivamente chiuso in un cerchio di “yes men”, perdendo il contatto con la realtà. La critica popolare è aumentata con il crescere delle vittime tra soldati e civili e la mancanza di una prospettiva di pace. Da più di un anno, il senso di unità che aveva caratterizzato la prima mobilitazione sembra essersi dissolto. Inoltre, sono emerse critiche per la sua mancanza di preparazione dell’esercito di fronte alla minaccia russa. Nel 2021, Joe Biden lo aveva messo in guardia, ma lui si concentrava su opere infrastrutturali per guadagnare consensi interni.
Per quanto concerne le presidenziali, con l’aumento della pressione statunitense e senza un accordo che gli garantisca il sostegno necessario per un secondo mandato — opzione che al momento sembra improbabile — potrebbe anche decidere di dimettersi, permettendo la sua sostituzione con il presidente della Rada, il parlamento ucraino, Ruslan Stefanchuk. In alternativa, si aprirebbe una corsa per la sua successione, con diversi candidati in lizza.
Nonostante non abbia ancora fatto dichiarazioni in merito, il generale Valery Zaluzhny, licenziato all’inizio dello scorso anno dal comando delle Forze armate ucraine e successivamente assegnato al ruolo di ambasciatore a Londra, potrebbe essere il principale candidato alla presidenza. Secondo i sondaggi, Zaluzhny vincerebbe facilmente al secondo turno contro Zelensky, con un ampio margine (53% contro 18%, secondo i dati dell’istituto Socis del 26 febbraio). Il generale gode infatti di un alto indice di popolarità (74%) e le forze armate godono di un livello di fiducia quasi totale tra la popolazione (92%, secondo i dati KMIS del 9 gennaio). Di fronte a tali numeri e all’eventuale ingresso in campo di Zaluzhny, Zelensky potrebbe decidere di ritirarsi dalla contesa.
Il quadro cambierebbe se Zaluzhny resistesse alla tentazione di candidarsi e rimanesse neutrale. In tal caso, la corsa alla presidenza sarebbe molto più aperta, con i soliti noti come l’oligarca ed ex presidente Petro Poroshenko e nuovi volti, come Kirilo Budanov, capo dell’intelligence militare, che gode di grande popolarità, seconda solo a quella di Zaluzhny. Non è escluso che, qualora Trump dovesse continuare a mettere il veto su Zelensky, gli Stati Uniti possano puntare su un altro candidato, ancora da definire. Come dimostrato dall’elezione di Zelensky nel 2019, la scelta del prossimo presidente è spesso determinata dai altri fattori, per poi essere ratificata dal voto popolare. Sei anni fa, dietro le quinte, furono gli oligarchi ucraini a giocare un ruolo centrale; stavolta, però, è probabile che attori esterni giocheranno un ruolo determinante.
Franco Lodige, 18 marzo 2025
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