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Il dibattito

Da virostar a tuttologa. Viola predica: “Meloni vittima del patriarcato”

antonella viola

Da virologa a patriarcologa il passo è breve. Anzi brevissimo. E quindi Antonella Viola, che già s’era lanciata nel campo del digiuno intermittente e del “no” al vino, adesso si reinventa sociologa. E dà lezioni a Giorgia Meloni sul “patriarcato” che colpisce anche le donne.

In un lungo (ed evitabilissimo) intervento sul Corriere, la virostar afferma che tutti noi siamo permeabili “all’ambiente culturale nel quale cresce” e, dunque, essendo la società patriarcale, tutti sono infetti da questa sorta di virus. “Fino alla soglia dei 40 anni – scrive la Viola – sulla questione del patriarcato, il mio pensiero non era forse troppo dissimile da quello di Giorgia Meloni. Ero una donna del sud del Paese, due volte madre, che senza aiuti e senza spintarelle ma con impegno e volontà, si era fatta strada da sola nel mondo scientifico, raggiungendo una solida reputazione e carriera”.

Modestia a parte, il sunto dell’immunologa è questo: essendo lei riuscita a scalare le vette della scienza, benché circondata prevalentemente da maschietti, era convinta che tutte potessero riuscirci. E che dunque non vi fosse bisogno di altro se non del merito. “Se avessi ottenuto la carica di Direttrice Scientifica che invece ho ottenuto qualche anno più tardi – assicura la scienziata – avrei optato per Direttore, perché la parola Direttrice mi sarebbe sembrata non adatta”.

Di chi era la colpa di cotanta arretratezza maschilista? Della famiglia? No, perché pare che mamma e papà Viola non fossero una famiglia patriarcale (ma se tutto è patriarcato, come hanno fatto loro a esserne immuni?). La colpa era “dell’ambiente in cui ero vissuta aveva agito su di me, facendomi sembrare normale quello che normale non può essere”. Poi a un certo punto la svolta. Viola conosce una collega fissata con le questioni di genere, le quote rosa e il linguaggio inclusivo e la sua visione cambia. Dal pensare come Meloni (“io, donna e madre, partita dal basso e venuta su grazie alle mie capacità, volontà e impegno, non posso che essere la dimostrazione dell’assenza di una cultura patriarcale in Italia”) finisce sulla sponda opposta. “Ho iniziato un’operazione di smantellamento degli stereotipi, condizionamenti e pregiudizi che operavano in me. Ho capito che l’eccezione non può essere la regola e che se in un Paese in cui la popolazione è divisa al 50% tra maschi e femmine solo l’8% delle posizioni dirigenziali è coperta da donne, il problema c’è”.

Viola si domanda come mai ai vertici delle Università ci siano ancora troppe poche donne. O perché il loro lavoro “è spesso sminuito da argomenti che risentono degli stereotipi di genere”. Infine, i femminicidi. “Ho capito che c’è un legame fortissimo tra linguaggio, stereotipi, discriminazione e violenza di genere”. Quale? Mistero. Ma per la Viola “quando Giorgia Meloni chiede di essere chiamata al maschile nonostante si identifichi del tutto in una donna, quando alza il sopracciglio ascoltando chi parla di pari opportunità, e persino quando sostiene che lei non subisce la cultura patriarcale”, non sta avvenendo altro che l’eterna riproposizione del patriarcato. Un modo di fare figlio del “contesto culturale che l’ha portata a questo”. Quale? Giorgia Meloni è “vittima di condizionamenti culturali derivanti da un mondo misogino e maschilista“. Insomma: Meloni è donna, è premier, è leader di un partito, è madre, ma tutto questo non basta. Deve chiamarsi “la presidente” oppure non è femminista.

Piccola domanda: ma se la colpa sta tutta nella cultura in cui è cresciuta Meloni, cioè nella destra, come mai a portare a Palazzo Chigi una signora c’è riuscita prima Fratelli d’Italia e non il Pd, che pure risulta permeato da visioni progressiste, rosa e arcobaleno, ma s’è sempre fatto governare dai maschietti? E davvero Viola pensa che per scardinare – per dire – il sistema dei baroni universitari, con quel vizietto di favorire i protetti, serva declinare al femminile le cariche? Forse era meglio quando la invitavano in tv a parlare di vaccini.

Franco Lodige, 24 novembre 2023