Il ritorno di Donald Trump non è passato inosservato. E non poteva essere altrimenti. Come annunciato a più riprese prima e dopo la vittoria contro Kamala Harris, il tycoon ha deciso di imprimere una svolta. Una delle armi più utilizzate è quella dei dazi, da brandire contro qualunque Paese rifiuti di trattare questo o quel dossier. La cronaca ci offre delle testimonianze vivide. Basti pensare a quanto accaduto nel giro di poche ore con la Colombia, piegata nella sua prima battaglia per i rimpatri dei clandestini usando la minaccia dei dazi.
Dopo l’iniziale resistenza alle espulsioni americane di clandestini in catene su cargo militari, Bogotà ha deciso di fare un passo indietro. Il presidente Gustavo Petro aveva rifiutato l’atterraggio di un paio di voli denunciando che “gli Stati Uniti non possono trattare come delinquenti i migranti colombiani”. Oltre a mettere a disposizione il suo velivolo presidenziale per i rimpatri, l’ex guerrigliere eletto nel 2022 come primo leader di sinistra aveva inoltre polemizzato sul fatto che anche in Colombia “ci sono 15.666 statunitensi irregolari”, aggiungendo che “se lo desiderano possono stare in Colombia” perché noi “siamo l’opposto dei nazisti”.
La risposta di Trump non si è fatta attendere: l’elenco delle ritorsioni su Truth, tra cui dazi al 25% (e al 50% in una settimana), sanzioni bancarie e finanziarie, stretta sui visti e sui controlli alla dogana. Il presidente colombiano ha provato a tenere botta – minacciando prima dazi al 50% e poi al 25% – ma dopo poche ore ha alzato bandiera bianca. E la Casa Bianca ha potuto esultare: “Il governo di Bogotà ha accolto tutte le condizioni del presidente Trump, inclusa l’accettazione senza restrizioni di tutti gli immigrati clandestini dalla Colombia rimpatriati dagli Usa, anche su aerei militari statunitensi, senza limitazioni o ritardi”. Naturalmente è arrivata la sospensione delle misure punitive: “Gli eventi di oggi rendono chiaro al mondo che l’America è di nuovo rispettata. Il presidente Trump continuerà a proteggere con fervore la sovranità della nostra nazione e si aspetta che tutte le altre nazioni del mondo cooperino pienamente nell’accettare la deportazione dei loro cittadini presenti illegalmente negli Stati Uniti”.
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Trump ha cantato giustamente vittoria, perché ha dimostrato di avere il coltello dalla parte del manico. E non è un caso che abbia deciso di ricorrere ai dazi (al 25 per cento) anche contro i prodotti del Messico e del Canada per la mancata stretta sul flusso di migranti e sul traffico di fentanyl. Il provvedimento scatterà dal primo febbraio, salvo colpi di scena. Altro dossier da tenere d’occhio è quello legato alla Danimarca. Il tycoon ha ribadito senza mezzi termini di volersi prendere la Groenlandia. “I suoi 57 mila abitanti vogliono stare con noi” ha spiegato Trump: “Non so esattamente quali diritti vanti la Danimarca, ma sarebbe un atto molto ostile (da parte del governo di Copenaghen, ndr.) se non lo permettessero, perché è per la protezione del mondo libero. Noi possiamo proteggerlo. La Danimarca no. Tutto qui”.
Trump nel dialogo con Copenaghen ha minacciato espressamente misure specifiche come i dazi doganali contro i prodotti danesi senza un dialogo sulle richieste di Washington. L’interesse di Trump ha varie ragioni, dalla posizione geografica chiave per il controllo delle rotte artiche allo sfruttamento delle risorse minerarie, passando per lo sviluppo di basi militari e spaziali. Ebbene, l’intervento del tycoon sembra aver avuto qualche effetto. Ieri il governo danese ha annunciato che spenderà 14,6 miliardi di corone, ovvero due miliardi di euro, per rafforzare la sicurezza nell’Artico – un’area strategica per la sua vicinanza alla Russia e agli Stati Uniti – e nel Nord Atlantico. “Il livello di minaccia nell’Artico e nel Nord Atlantico è aumentato. Dobbiamo quindi rafforzare significativamente la presenza difensiva in queste regioni”, ha affermato il ministro della Difesa danese Troels Lund Poulsen.
Già adottati durante il primo mandato, i dazi saranno ancora più aggressivi durante questo secondo mandato. Riflettori accesi sulla Cina, già interessata da tempo da dazi imposta dagli Usa su vari tipi di prodotti nell’ambito della guerra commerciale tra i due Paesi – proseguita anche da Joe Biden – ma il tycoon ha chiarito che ora saranno coinvolte tutte le merci provenienti da Pechino. Trump ha anche fatto riferimento a nuovi dazi contro i prodotti che provengono dai paesi dell’Ue senza dare altri dettagli e parlando di una necessaria “equità commerciale”: “Ci trattano molto, molto male, quindi dovranno pagare dei dazi”.
I dazi potrebbero arrecare danni alle imprese italiane. In base alla prospettiva ipotizzata dalla società di consulenza e ricerca economica Prometeia, bisogna tenere conto di due scenari. Il primo simula un aumento di 10 punti percentuali limitato a quei prodotti che già oggi sono sottoposti a dazi e nessuna tassa per quelli che sono invece esenti. Dal punto di vista settoriale, riporta Il Sole 24 Ore, a essere maggiormente colpito sarebbe il sistema moda, già oggi insieme all’agroalimentare uno dei più esposti del made in Italy. Il secondo, invece, simula un aumento tariffario generalizzato di 10 punti per tutti i prodotti importati dagli Stati Uniti. In tal caso, sarebbe la meccanica a subire più negativamente le conseguenze del nuovo protezionismo. Ebbene, con il primo scenario l’aggravio sarebbe di 4,12 miliardi di dollari col primo scenario, che salirebbero a 7,20 miliardi col secondo. Cifre notevoli, ma bisogna considerare che gli Usa – dopo la Germania – sono il secondo mercato di sbocco dei prodotti italiani.
L’Italia può sperare nel fattore Giorgia Meloni e in realtà anche l’Ue ripone grandi aspettative nei confronti del premier italiano, unico esponente Ue alla cerimonia d’insediamento. “Stati Uniti ed Europa sono economie complementari quindi uno scontro in materia di dazi non conviene a nessuno” ha ricordato ieri la Meloni da Al-Ula: “La questione del surplus commerciale dell’Ue rispetto agli Usa non è una questione che nasce con la Presidenza Trump, è una questione che le Amministrazioni americane hanno posto spesso”. Il primo ministro ha aggiunto: “Comprendo il punto di vista degli Stati Uniti – ha ripreso – ma se si andasse a guardare al dato complessivo e si coinvolgesse per esempio il tema del commercio dei servizi, allora lì si vedrebbe che in questo caso c’è un surplus commerciale a favore degli Stati Uniti di circa 100 miliardi, a dimostrazione che si tratta di economie complementari e interconnesse e che quindi uno scontro non conviene a nessuno”. La Meloni ha invocato il dialogo, perché la questione può essere affrontata solo con una soluzione equilibrata e bilanciata: “È la strada che intendo percorrere ed è la strada che intendo suggerire per trovare delle soluzioni insieme all’amministrazione americana”.
Franco Lodige, 28 gennaio 2025
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