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Dalla Ferragni alla Incontrada: basta con le divette del vittimismo

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Che fatica essere divette nel ventunesimo secolo. Che fatica dover dimostrare di avere un pensiero critico in un momento storico in cui la conoscenza è confusa con l’essere informati di tutto un po’ attraverso i titoli di Google News.

La Ferragni che si lamenta del maschilismo e della cultura fascista; la Incontrada che posa nuda pensando così di essere di esempio e di denunciare il fantomatico body shaming; la Natalie Portman che alla notte degli Oscar ha indossato una cappa, sul suo abito Dior, su cui ha fatto ricamare i nomi delle registe che quest’anno sono state ignorate nelle nomination per la miglior regia, perché donne – a suo dire.

Ipocrisia rosa

Fa sorridere che negli ultimi tempi, a parlare di argomenti del genere siano donne come quelle sopra citate. La prima, per esempio, figlia dell’alta borghesia, cresciuta in centro e libera di frequentare le scuole migliori, che per lanciare il suo blog si dà a pose cosiddette hot – non stiamo giudicando, non ci interessa, sono fatti suoi. Ma non ci venga a fare la morale. L’altra, la Incontrada, vorrebbe raccontarci il coraggio posando nuda: con mezzo rotolino vorrebbe spiegarci la difficoltà che c’è ad essere accettate dagli uomini in quelle condizioni (ma che davvero!?; in quali condizioni?!). Quella è bellezza alternativa?

Il merito comincia, quindi, dal nascere donne? È questo che vorrebbero insegnarci? Che si è più donne se si nega di avere un seno e ci si rifiuta di allattare? E che invece il sesso maschile non è degno di esistere o sopravvivere. Che nessuno può osare correre in difesa di tutta quella categoria di uomini ignorati e disprezzati dalle donne (il fenomeno è più diffuso di quanto si immagini) per via di un difetto fisico, perché magari non riescono ad emanciparsi o a conquistare un posto di lavoro di pregio, perché hanno mamme invadenti: questi qui non sono mica degni di essere giudicati vittime di nulla!

Vi ricordate quando Angela Finocchiaro nel 2018, (era da poco scoppiato il fenomeno metoo), in un programma condotto su Raitre da Serena Dandini, disse: “gli uomini sono tutti pezzi di merda”? La comica apparì in veste di fatina davanti ad un gruppo di bambine disposte a semicerchio. Una ragazzina angelica le chiese: “Anche il mio papà?”. La Finocchiaro rispose: “Soprattutto tuo papà”. Immaginate adesso che cosa sarebbe successo se alla tv dei ragazzi, un noto attore avesse detto, “le donne sono pezzi di merda”, soprattutto la mamma di uno di loro. Quale sarebbe stata la reazione?

Oggi c’è Vanity Fair ad insegnarci come dovrebbero andare le cose nel mondo e, soprattutto, il coraggio – che ne sa Giovanna d’Arco! – con la Incontrada che con un filo di pancia è “inclusiva” e “differente”, fuori dalle logiche maschiliste. Ma ci si può sentire più donne perché protette dal perbenismo ipocrita o dalle quote rosa? Ci si può sentire più libere posando nude?

Il coraggio, forse, sarebbe prima di tutto ammettere che un “femminile” nasce per far vendere le linee di moda degli inserzionisti e che le copertine, se proprio dobbiamo, le meriterebbero donne che hanno qualcosa da raccontare e non che sono “inspirational” e “extraglam” (come piace dire nelle loro riunioni di redazione!).

E soprattutto, diciamocela tutta fino in fondo, ma solo un pazzo – sia esso maschio o femmina – cerca e vuole la bellezza eterna, senza imperfezioni e che non cambia mai. Siamo al cospetto di un’altra patologia.

Ideologia comunista

Dal metoo in particolare (ma anche da prima) il maschio bianco è stato chiamato a rispondere di un concorso morale nelle colpe. Per gli gli stessi motivi per cui l’intellighenzia ha aderito e aderisce all’ideologia comunista: l’anticonformismo morale e uno strano spirito della rivolta. Una diminuzione di facciata senza contenuto teorico e logico. D’altronde si sa, i coriandoli della sinistra culturale ripagano solo a parole. E oggi siamo all’apogeo del ribaltamento della normalità tra narcisismo morale e esibizioni di virtù.

Dal ’68 in poi, eppure oggi in maniera più violenta che mai, l’Occidente è diventato una specie di inferno dove la narrativa vuole l’uomo bianco come un predatore pronto ad aggredire le donne ad ogni angolo della strada. E la donna, invece, oggetto di sfruttamento in ogni mestiere. Tutto questo è prima di tutto il risultato di quanto esposto sopra e della “femminizzazione” del mondo del lavoro, specie del giornalismo: la sensibilità per certi temi è ormai esasperata.

Tutte queste campagne sembrano soltanto una mera rivolta delle élite dove il metoo è ormai un Sessantotto rovesciato. Cinquant’anni fa lo slogan era “fate quello che volete, andate con chi volete, viva l’amore libero”. Ne è derivato un cortocircuito nel desiderio: se non sei andata a letto con qualcuno a sedici anni sei frigida e troppo pudica; se aspetti il matrimonio sei psicologicamente non sana. Questo ha generato una pressione folle che è parte delle spiegazioni dei tanti pentimenti postumi. Se inconsciamente la società ti convince che dire no sia strano, alla fine cedi, per poi scoprire che non volevi dire ‘sì’. E siccome i principi morali sono ormai sconosciuti e non si è più capaci di rifarsi ad essi, si cerca soddisfazione nei tribunali. Come se la relazione uomo – donna potesse mai essere risolta in quelle sedi.

Il metoo, che, lo ripetiamo, è una degenerazione ovvia del ’68, è lo specchio del tempo presente, il momento della neo-protestantizzazione: la cultura della trasparenza, del manicheismo, della contrattualizzazione del desiderio. Con un triste requiem a tutte le strutture tradizionali che stanno scomparendo. Il patriarcato non esiste più, e dove è stato rovesciato abbiamo il metoo e le dive tuttologhe. Cosa a cui va aggiunta la massificazione del porno, ed ecco il perfetto minestrone dell’immaturità dei giovani, la mancanza di cultura. Il porcile a cielo aperto è servito e l’uomo bianco ostracizzato.

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