Cultura, tv e spettacoli

“Diamanti”, concentrato di retorica anti-uomo

La pellicola più vista durante le feste di Natale tratteggia il “maschio” come la causa di tutti i mali

È stato il film più visto delle feste di Natale, 13 milioni di euro al botteghino e 1 milione e 800mila biglietti staccati. Con Diamanti Ferzan Ozpetek ha firmato l’ennesimo capitolo di una filmografia ricca di titoli sempre in bilico fra melodramma fiammeggiante e fotoromanzo. “Le donne? Le amo: sono esseri superiori”, lui ribadisce in ogni occasione. Il cast corale, tutto al femminile, lasciava stavolta presagire atmosfere da commedia sofisticata, con le protagoniste che spettegolano amabilmente l’una dell’altra, fra rivalità e battibecchi. Niente di tutto questo. Tra le venti donne della sartoria in cui è ambientata la storia regnano solo armonia e solidarietà. Pura fantascienza, si direbbe. E i maschietti? Loro sono la causa d’ogni male, dipinti come predatori, egoisti, irresponsabili, violenti, narcisi e immaturi. Ma le nostre eroine, per fortuna, restano unite perché l’amicizia femminile è sempre sincera e generosa (manco Asimov ci crede). D’altronde, il copione lo recita ad nauseam per tutto il film: “Noi non siamo niente, ma insieme siamo tutto”.

La sorellanza, nella poetica del regista, diventa il viatico per la rinascita personale di ognuna delle protagoniste. La ricetta è semplice: rinunciare per sempre ai maschi orrendi e vivere due mondi sociali totalmente separati.

Unica presenza testosteronica nel gineceo -a parte un marito insignificante (Luca Barbarossa)- degli aitanti ragazzotti che entrano in scena mezzi nudi e sembrano anche un po’ scemi. Si immagina che in un futuro distopico saranno dediti al diletto delle api regine e probabilmente alle loro funzioni riproduttive. A patto, però, che restino muti e si dedichino solo alle attività ginniche.

C’è poi, immancabile, la strizzata d’occhio all’universo gay, rappresentato qui dal regista, Ozpetek, che interpreta sé stesso nel film e pare di ascoltarli i commenti in sala: “Nessuno è in grado di sentire le donne come lui”. Il film sembra ribadire la santa alleanza fra l’identità omosessuale e quella femminile, basata sull’equivoco che la donna frequentando un gay -considerato meno pericoloso-possa riavvicinarsi a quel mondo maschile con cui non riesce più a relazionarsi. Non ne siamo così sicuri…

Non siamo altrettanto sicuri che #Diamanti sia il manifesto d’amore per le donne e una celebrazione del loro coraggio. Quante donne vogliono davvero chiudersi in modo così ostile e sfiduciato, rinunciando al confronto e al dialogo col maschio? Il regista le definisce forti e vincenti, ma a noi sembra che le sue protagoniste siano la rappresentazione di un fallimento.

Il nuovo mondo di Ozpetek sposa, piuttosto, gli istinti dell’inconscio collettivo gay, che sogna in questo modo di avere campo libero nei rapporti con gli altri uomini. Una sorta di ritorno all’età della Grecia antica, così potentemente intrisa di omo-socialità e omoerotismo e in cui le donne erano, però, passive e subalterne, vittime di una cultura, quella sì davvero patriarcale.

Andrea Palazzo, 17 gennaio 2025

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