Dio salvi la Regina che ci dà lezioni di democrazia

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Ho visto un re, come cantava Enzo Jannacci, che però era una regina e difendeva la democrazia, molto più di coloro che si professano liberali, democratici, socialisti e repubblicani. È vero che il Queen’s speech, tenuto da Elisabetta alla Camera, come ad ogni apertura di sessione parlamentare (l’ultimo nel 2017) è ormai da tempo redatto dal governo in carica. Ma nel momento in cui la Sovrana lo legge, esso assume una valenza quasi sacrale: tanto è vero che molto raramente i parlamentari osano sfiduciarlo (dal 1923 mai più avvenuto).

In un passaggio fondamentale del discorso, la regina ha affermato che il Regno deve uscire dalla Ue entro il 31 ottobre perché “cosi il popolo ha deciso”. In questa breve formula, la più antica e autorevole monarchia del mondo ha dato scacco matto agli attuali liberali, democratici e socialisti, dimostrando di essere più fedele al senso vero della parola democrazia: il responso del popolo. Al contrario liberali, democratici e socialisti si sono impegnati, dal 2016, soprattutto a bloccare, rimandare, emendare, troncare e sopire ciò che il popolo aveva deciso con il referendum. Fino ad appoggiare, molti di loro, l’idea di un secondo referendum, comicamente ribattezzato People’s vote (come se il primo non lo fosse), quasi a ribadire che il popolo aveva sbagliato la prima volta e che bisognava riprovare, perché il risultato non piaceva alla finanza globalista, ai giornali mainstream, agli eurocrati di Bruxelles.

Non sorprende questo legame della regina con il responso del popolo. Contrariamente alle interpretazioni riduttive della storia delle monarchie diffuse da generazioni di storici democratici e socialisti, la monarchia britannica ha in realtà sempre garantito la volontà popolare – intesa in senso medievale, e non in senso roussoviano e giacobino. Cosi come il rapporto tra re e popolo era stretto e organico anche in altre monarchie, tale quella francese, meno capace tuttavia rispetto a quella inglese di adattarsi ai mutamenti graduali della comunità politica.

Se il Regno unito, dopo quella del XVII secolo, non ha mai subito rivoluzioni e dal Settecento è una democrazia mai caduta nelle mani di dispotismi di marca napoleonica o fascista, lo si deve moltissimo alla sua Corona. Diciamolo, infatti. I sistemi monarchici oggi appaiono assai più stabili di quelli repubblicani. Per citare un esempio di questi giorni, non solo la Brexit ma la secessione catalana in Spagna già sarebbero degenerate in guerra civile se al posto del re ci fosse un presidente della Repubblica.

Diversamente dal monarca, figura davvero neutra e super partes perché la sua legittimazione non è politica ma fondata sulla tradizione, i presidenti della repubblica finiscono sempre per essere parte del gioco politicante, perché in buona sostanza vengono nominati dai partiti, quando eletti dal parlamento oppure, nel caso di loro elezione diretta, sono comunque scelti dai capi partito, senza tuttavia che venga concesso loro il potere di governare.

Alla fine, tra le Repubbliche, sembrano resistere solo quelle presidenziali. In cui il presidente eletto dal popolo sovrano a capo del governo (in forma diretta come negli Usa o indiretta come in Francia o in Russia) è semplicemente un succedaneo del Sovrano, di cui incarna anche la funzione carismatica e  simbolica, sempre assai importante. Se non si può ripristinare la monarchia, almeno scegliamoci la Repubblica presidenziale.

Marco Gervasoni, 15 ottobre 2019

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