Cronaca

Donne in gabbia: care femministe, battete un colpo

Nel Parco del Piraghetto a Mestre gli islamici hanno festeggiato la fine del Ramadan. E le donne finiscono nel recinto

No dico. Ma le donne recintate le avete viste? Le donne chiuse dentro a un recinto le avete viste? Le avete viste o fate finta di non vederle, perché tanto sono musulmane e meritano meno attenzione di quelle italiane morte ammazzate per mano dei loro compagni e mariti? Dove sono finite le femministe di primo pelo? Dove sono le tanto paladine dei diritti di tutt! Azz non si può dire, tutti tutte, quelle che ci mettono l’asterisco anche nei cessi delle scuole?

Dove? Dove sono quelle che berciano al patriarcato non appena una donna viene violentata stuprata ammazzata e qui invece tutte zitte buone, senza dire una parola? Non vedo manifestazioni oceaniche fuori dalle scuole, non vedo comizi nei cortili degli atenei, non vedo fiaccolate, processioni, scarpette rosse.
Non vedo niente della becera propaganda che interviene quando c’è di mezzo una donna vittima di femminicidio. Sarà che, per le femministe della nuova generazione, le donne musulmane, sono donne di serie B? Sarà che non meritano la stessa attenzione di quelle italiane?
Perché diamine fate queste differenze?

Suvvia. Sì certo, le foto che qui vi mostriamo potrebbero trarre in inganno, uno pensa di essere a La Mecca e invece siamo a Mestre, sì a Mestre. Dieci aprile, 2024, Italia. Parco del Piraghetto. Qui gli islamici hanno festeggiato la fine del Ramadan. Ma il problema non sono i festeggiamenti, la preghiera, i rituali, i canti, i sermoni ululanti che si propagavano per le vie di una città come Mestre che sta diventando una succursale del Bangladesh (dati aggiornati al 2022 dicono che a Venezia ci siano 8000 bengalesi, che ora si stan facendo la guerra), no il problema è lo spettacolo raggelante e indegno che ci siamo trovati davanti, perché chi scrive era presente.

Arriviamo al parco che sono all’incirca le otto e trenta del mattino. I musulmani sono già qui che si preparano per i festeggiamenti. Davanti a noi, c’è un’onda distesa di uomini che si alza e si abbassa a seconda del canto dei sermoni. Quando il lamento va giù, l’onda si abbassa. Quando va su, si alza. Si muovono tutti all’unisono. Sembra un grande telo, mosso dalle onde del vento.
Poi, subito dietro, davanti a noi un grande tendone. Bianco. Steso tra gli alberi, appuntellato alla perfezione e retto in piedi da bastoni di legno.
Tentiamo di guardare dentro, ma scorgere qualcosa è impossibile. Per- corriamo il perimetro del tendone, ma sembra non finire. Poi, saliamo sopra una muretta e lo spettacolo è indegno.

Raggela il sangue. Dentro questo tendone, steso tra gli alberi, appuntellato alla perfezione e retto in piedi da bastoni di legno, ci hanno messo le donne. Le hanno chiuse qui. Dentro questo recinto. Come se a loro non fosse concesso vedere il verde, la luce, il prato, i fiori. Perché le donne musulmane sono destinate a questo. A vivere chiuse. Osservando il mondo attraverso una graticola sugli occhi, avvolte da una tenda. Infatti, c’è chi indossa il velo integrale, chi il burqa, chi lo Ḥijāb, lo chador.

Nemmeno le bimbe sono scoperte. Le donne stanno tutte qui, inginocchiate e genuflesse, ad assistere alla preghiera. Neanche l’imam possono guardare in faccia. Del resto, siamo nella città dove se passeggi di sera ci sono più bengalesi che italiani. Dove ci sono più donne in sari e niqab che in abiti occidentali. Dove ci sono interi quartieri popolati dai bengalesi, dove i caf sono diventati musulmani, le lavanderie anche, le macellerie, i negozi di alimentari, perfino i parrucchieri.

E le velate, che guardano il mondo attraverso dei buchetti, avvolte in “stupidi cenci”, camminano tutte dietro all’uomo. Zitte. Buone. Qui, a pochi passi da Venezia, i bengalesi hanno fatto vivere la legge della Sharia. Qui hanno importato le loro leggi, le loro tradizioni, si sono comprati appartamenti, negozi, hanno investito. “Io mia moglie non la porto in Italia”, ci dice un bengalese.
“Perché?”. “Perché qui siete troppo libere, dopo impara vostra cultura e non va bene”. Già, non va bene. Ma non appena usciamo da questo parco gravido di arretratezza, notiamo quella bimba. È bella. Bellissima. I capelli neri le circondano il volto. Avrà all’incirca quattro anni. Addosso le hanno messo un vestitino a pois. E la usano come statuina per far fare i selfie agli uomini.

Mi chiedo, in tutto questo spregevole sfregio, le femministe dove sono?

Serenella Bettin, 12 aprile 2024

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