Società

Dove si impara la giustizia sociale

Nella giornata mondiale della giustizia sociale va ribadito: si può impedire che i nostri giovani diventino preda delle mafie e della criminalità

Giustizia Sociale_02 © Michal Collection tramite Canva.com

Su questo tema io parto sempre citando Tommaso d’Aquino, il grande filosofo medievale cui la nostra società occidentale è altamente debitrice. Egli nella sua Summa così afferma: «Iustitiae proprium est inter alias virtutes ut ordinet hominem in his quae sunt ad alterum. […] Aliae autem virtutes perficiunt hominem solum in iis quae ei conveniunt secundum seipsum».

In sostanza, il grande Aquinate dimostra che la giustizia è una virtù intrinsecamente sociale, in quanto regola i rapporti del singolo con la società in cui vive, al contrario delle altre virtù che regolano, diciamo così, l’uomo con se stesso. Inizio sempre i miei interventi su questo tema da questa bellissima definizione della giustizia, perché ci fornisce l’orizzonte nel quale inserire i nostri sforzi. La giustizia, virtù, ripetiamolo, essenzialmente sociale, va coltivata nel luogo della socialità per antonomasia, ossia la scuola. Il sapere, infatti, passa dal rapporto tra persone appartenenti a generazioni diverse, con ruoli diversi, ma uniti dal desiderio di trasmettere e dal desiderio di apprendere. Ecco, dunque, spiegato il motivo che sta alla base del rapporto intrinseco, oserei dire ontologico, tra istruzione e giustizia sociale, intesa in tutti i suoi aspetti.

La scuola, infatti, è il luogo dove meglio si apprende il valore della giustizia grazie alle dinamiche relazionali tra pari e tra studenti e docenti. Sono convinta che una scuola veramente libera e veramente autonoma possa creare le condizioni per una rigenerazione della società, nel campo economico, dei valori, delle relazioni.

Molto spesso il tema della giustizia è relegato all’insegnamento della Educazione civica. Niente di più scorretto. Non basta, infatti, l’ora di educazione civica, serve un’azione congiunta e corresponsabile della scuola con la famiglia, delle istituzioni pubbliche e private, dello Stato e gli Enti locali, della magistratura e della stampa, affinchè si ristabiliscano le motivazioni profonde della legalità e del senso di giustizia. Ecco che tutta la società, esattamente come San Tommaso insegna, è chiamata a costruire il senso di giustizia tra i cittadini. In che modo? A mio avviso noi adulti dobbiamo avere il coraggio di riproporre dei modelli per far capire ai giovani che è possibile costruire una società diversa. L’illegalità si nutre della non conoscenza, dell’ignoranza, del gusto per la polemica costruita ad arte col solo scopo di confondere.

Ecco, dunque, il ruolo ricoperto dalla scuola. Dobbiamo, però, essere sinceri e porci una domanda: con l’alto tasso di dispersione scolastica nel sud, con una povertà educativa che rende i nostri ragazzi facile preda della mafia e della camorra, quale alternativa siamo in grado di dare loro? L’unica difesa possibile contro il dilagare della criminalità è la scuola, perché la guerra contro la mafia inizia con la garanzia del diritto all’istruzione. La scuola, infatti, favorisce quella conoscenza che consente a tanti ragazzi, una volta divenuti adulti, di dedicare la propria vita alla legalità, di vivere una vita buona, per sé e per gli altri, una vita giusta di cittadini che pagano le tasse e contribuiscono ad abbassare le disparità esistenti nella nostra società. Se la scuola abdica al proprio dovere, vani saranno gli sforzi per contrastare il fenomeno delle mafie e tutte le altre forme che non garantiscono la giustizia.

Ecco perché da anni mi batto per il riconoscimento ai genitori del loro diritto a scegliere liberamente, ossia a costo zero, avendo pagato le tasse, la scuola per i loro figli. Il mancato riconoscimento di questo diritto, o meglio, la mancata garanzia del diritto che in realtà è riconosciuto dalla costituzione ha provocato la chiusura delle scuole paritarie, una ferita profonda nei tessuti sociali di tutti i contesti nei quali esse erano inserite: la ferita, tuttavia, è ancora più profonda in quei territori in cui la buona scuola cattolica aperta era un presidio di legalità, era il luogo della relazione sana, era il luogo della riflessione sulla realtà e sul suo futuro. Non a caso, le statistiche parlano chiaro e ci descrivono la realtà di alcuni contesti sempre più caratterizzati da fenomeni di delinquenza. Ed è naturale che così stiano le cose. Una scuola aperta è, dicevamo, un presidio di legalità perché, attraverso la cultura, attraverso i contenuti disciplinari appresi, attraverso le iniziative promosse, i docenti formano i giovani a vivere in società: del resto, il primo elemento che connota la vita in società è il rispetto delle norme, nel piccolo come nel grande. Per converso, altrettanto naturale e ovvia è la constatazione che in quelle regioni in cui sono state avviate politiche di supporto economico alle famiglie per la scelta della scuola e, quindi, a sostegno del pluralismo educativo, i fenomeni di violenza e di criminalità sono nettamente inferiori.

Allora, la cultura della giustizia che va dal rispetto di norme semplici alla riflessione sul valore della vita con il rifiuto della violenza in ogni sua forma è e deve rimanere uno degli obiettivi da raggiungere. Occorre, ogni giorno, lavorare per far nascere nei giovani il gusto delle cose belle, dei sentimenti costruttivi, della responsabilità, della conoscenza. Forse le leggi razziali del ‘38 hanno attecchito perché la scuola italiana, asservita al potere, non ha potuto formare giovani a porsi delle domande: nessuno nella classe della signora Liliana Segre si è chiesto il motivo dell’assenza della loro compagna. Occorre lavorare perché il senso della giustizia, intesa come equa divisione tra le parti, come contributo responsabile per il bene della collettività, attecchisca nell’animo dei giovani. Ognuno compia la propria parte, nel piccolo come nel grande.

Suor Anna Monia Alfieri, 20 febbraio 2024

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