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Draghi pigliatutto sulle partecipate: ecco chi lo consiglia

Alla faccia dei partiti, il premier si prepara a una tornata di nomine nelle aziende di Stato. Dà retta solo a una persona. Il retroscena di Luigi Bisignani

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Il duplex Draghi-Giavazzi è a caccia di piccoli “Caio” da piazzare ai vertici delle aziende pubbliche in scadenza. Il modello di riferimento per il casting è appunto Francesco Caio, proprio quello delle riunioni in inglese con i postini e, più recentemente, il becchino di Saipem.

Con olimpica superiorità, infatti, il duo non si cura dei suggerimenti che provengono perfino dal Quirinale, figuriamoci di quelli dei partiti. I capi delegazione al Governo del Pd, Lega e Forza Italia, Dario Franceschini, Giancarlo Giorgetti e Maria Stella Gelmini, per citarne solo tre, continuano ad essere del tutto inascoltati, tanto che nei gruppi parlamentari sta montando una protesta che esploderà in Parlamento non appena si placheranno i venti di guerra.

Sono in rinnovo i vertici di numerose aziende, Snam, Sace, Simest, Fincantieri, Italgas, Fondo Italiano, Invitalia; ovvero pezzi strutturali del Bel Paese per gli importanti risvolti industriali e occupazionali. Posizioni che in democrazia non dovrebbero essere rimesse ai ghiribizzi dell’illustrissimo professor Francesco Giavazzi, magari anche ispirato dai suggerimenti del sodale Tito Boeri con il quale, nel tempo libero, sta organizzando il bizzarro Festival dell’economia di Torino al solo scopo di fare uno sgarbo a Confindustria.

Il mantra di Palazzo Chigi è la discontinuità, a beneficio però sempre degli amici degli amici, che possibilmente abbiano fatto almeno un passaggio alla Bocconi, o di donne, anche se nella maggior parte dei casi sprovviste di esperienza manageriale.

In questi tempi difficili, caso emblematico è Snam, dove Marco Alverà, considerato il guru dell’idrogeno, ha portato profitti per 1,2 miliardi di euro. Il top manager ha fiutato l’aria e non essendo mai stato rassicurato su un possibile rinnovo nonostante i “like” d del Colle, ha deciso di togliere elegantemente il disturbo e costituire un suo Fondo di investimenti. Lo sostituirà, pare, un’amica del solito Giavazzi, Alessandra Pasini, che sa molto di finanza e poco di industria, o forse Claudio Granata, astuto lobbista dell’Eni di Claudio Descalzi. Chissà se avrà da ridire il ministro Cingolani che, tra le varie gaffe, ha fatto ridere l’intero Parlamento quando ha chiesto al Presidente di turno una lavagna per illustrare meglio le sue bislacche teorie tra carbone e nucleare.

Sempre in nome della discontinuità, Palazzo Chigi è pronto a smantellare da Fincantieri anche una coppia di ferro come quella formata da Giampiero Massolo e Giuseppe Bono, che hanno fatto della società un’eccellenza nel mondo, e proprio in un momento come questo -come riservatamente sussurra anche Mattarella – dove occorrerebbe la loro esperienza con i prezzi  delle materie prime alle stelle.

Diversamente, gli illuminati dall’aura di Palazzo Chigi potrebbero cogliere la tragica occasione della guerra per unire Leonardo e Fincantieri e farne un colosso della Difesa che ci aiuterebbe anche in politica estera, oppure pensare ad una fusione tra Snam e Terna, quest’ultima guidata con mano sicura da Stefano Donnarumma, i cui ricavi sono saliti a 2,6 miliardi di euro. Un progetto innovativo che faciliterebbe l’approvvigionamento sul mercato diversificando il rischio sul gas. Ma per questo servirebbe una leadership più esperta sui piani industriali in Cassa Depositi e Prestiti, dove Dario Scannapieco, con le sue mille pruderie, non riesce a firmare neppure un accordo non vincolante con Tim, lasciata in balìa del mercato e dei Fondi speculativi di mezzo mondo.

E visto che entriamo nella sfera del Mef, nella cui orbita c’è anche formalmente Sace, si attende anche la decapitazione dell’Ad Pierfrancesco Latini (il presidente Rodolfo Errore, annusata l’aria, ha intelligentemente tolto il disturbo e si è trovato un altro posto), dove vorrebbero mettere, come Ceo, Alessandra Ricci, tristemente nota per essere stata, ai tempi della coppia Castellaneta-Castellano, la nemica numero uno delle aziende pubbliche. Per la poltrona di presidente, invece, sta scaldando i muscoli Filippo Giansante, come dire stesso “giro Chigi” via Alessandro Rivera, modesto ed ombroso Dg del Tesoro.

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