Esteri

Ecco il “modello” della Schlein: fa flop in Spagna

Il segretario del Pd si ispira a Pedro Sanchez e Ada Colau. Ieri la catastrofe elettorale del Partito socialista spagnolo

Pedro Sanchez e Elly Schlein

Se il modello doveva essere quello della sinistra spagnola è perfetto. Peccato al momento risulti perdente. Elly Schlein ha costruito buona parte della sua candidatura alla guida del Partito Democratico giocando con le sue affinità a due mostri sacri del socialismo spagnolo: Pedro Sanchez, ovviamente; ma anche il sindaco di Barcellona Ada Colau. Con entrambi il segretario del Pd condivide approccio, politiche e spirito generale. Ma si spera (per lei) non gli ultimi risultati elettorali. Ieri infatti diverse regioni della Spagna sono andate al voto e per la sinistra le elezioni si sono rivelate un mezzo disastro.

Le affinità Sanchez-Schlein

Che Elly guardasse al modello spagnolo non è mai stato un mistero. Lo ha detto e scritto durante tutta la campagna congressuale che l’ha portata a sconfiggere Stefano Bonaccini. Sia Pedro Sanchez che Schlein hanno messo al centro delle loro politiche la lotta alle disuguaglianze, i diritti, l’ambientalismo, il femminismo e lo sviluppo sostenibile. Una sinistra-centro, opposta al centro-sinistra in Italia incarnato da Bonaccini e in Spagna Susana Diaz. L’orizzonte di Elly è Pedro, soprattutto nelle riforme da approvare. Nella mozione congressuale (Parte da noi!) aveva invitato a emulare Madrid nel “limitare il ricorso ai contratti a tempo determinato a partire da quelli di brevissima durata”. Al discorso di candidatura alle primarie Elly aveva pure invitato a copiare Pedro nello scrivere “le nuove tutele del lavoro digitale”, in particolare per i rider. Sempre da quel lato dell’Europa ha poi invitato il governo Meloni a guardare per approvare “un congedo paritario di tre mesi non trasferibile tra i genitori”. E poi salario minimo, eutanasia, i diritti Lgbtqia+, sostegno alla transizione dei transessuali, no al nucleare, patrimoniale. E ovviamente il mito Ada Colau, sindaca di Barcellona, cantata dai giornali italiani come paladina del progressismo mondiale.

I risultati elettorali

Tutto molto bello, se non fosse che il modello della sinistra ieri ha incassato una sonora batosta. Domenica si è votato in 12 comunità autonome e in buona parte di esse il Partito Popolare è riuscito a spodestare i governi di centrosinistra, anche grazie all’appoggio di Vox. C’è chi già la chiama “l’ecatombe” del Psoe. In fondo tutte le sfide più importanti sono state un disastro: il Partito socialista ha perso sei dei nove governi regionali che guidava, dalla Comunità Valenciana, all’Extremadura, passando per Aragona, Baleari, Canarie e La Rioja. Una Caporetto anche nel voto per i sindaci dei 22 capoluoghi di provincia, dove ben 15 sono passati al Pp. Resta ai conservatori Madrid, da sempre feudo del Partito Popolare, ma passano di qua anche Valencia e Siviglia. Senza contare la sconfitta di Ada Colau a Barcellona, battuta dal candidato degli indipendentisti di Junts per Catalunya, Xavier Trias. A conti fatti, il Pp ha ottenuto il 31,53% dei voti, con oltre 7,4 milioni di preferenze, eleggendo 23.267 consiglieri contro i 20.681 consiglieri del Psoe fermo al 28,13%.

La domanda è: siamo sicuri che il “modello socialista spagnolo”, tanto citato da Elly Schlein, sia quello giusto per riportare il Pd al governo di Comuni, Regioni e Paese?

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