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Consulenza agli investimenti o consulenza agli investitori?

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L’articolo 1 comma 5-septies del Testo Unico della Finanza (TUF), così come già da tempo modificato a seguito dell’introduzione della MIFID I nel 2007, indica che: per “consulenza in materia di investimenti” si intende la prestazione di raccomandazioni personalizzate a un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative ad un determinato strumento finanziario. La raccomandazione è personalizzata quando è presentata come adatta per il cliente o è basata sulla considerazione delle caratteristiche del cliente.

La definizione del TUF, a prima vista facilmente comprensibile – se ti faccio consulenza significa che ti dico quale strumento finanziario è più adatto a te – nasconde invece una distorsione semantica che potrebbe portare su un’errata via proprio coloro che tale consulenza erogano: le banche, in primis, e i consulenti finanziari che di esse sono la lunga mano in seconda battuta[1].

Il problema era già stato evidenziato – brillantemente direi – da Gardenal e Rigoni nel loro libro “Finanza comportamentale e gestione del risparmio”. In base alle definizione di legge, argomentavano gli autori, “il contenuto della consulenza finanziaria è assai ampio. Per comprenderne le possibili estensioni è opportuno considerare i motivi che possono indurre un investitore a ricorrere al servizio (e a pagarlo, NdA):

  1. Migliorare la performance dei propri investimenti finanziari allo scopo di ottenere risultati, tenendo conto anche dei rischi assunti, superiori a quelli di mercato;
  2. Effettuare investimenti più adatti alle proprie caratteristiche ed esigenze

Il contenuto della consulenza intesa come sub a), che possiamo definire “consulenza agli investimenti”, racchiude in sé un pericoloso bias. Da un lato, infatti, l’investitore potrebbe essere portato a credere che, proprio perché paga un servizio di consulenza ed un consulente, i rendimenti del suo portafoglio dovrebbero nel tempo risultare migliori di quelli del mercato: altrimenti cosa pago a fare un consulente?!

Dall’altro lato, questa visione del concetto di consulenza potrebbe indurre gli stessi consulenti finanziari a sentirsi investiti dell’incarico di dover fare del proprio meglio per realizzare l’aspettativa del cliente.

Anzi, mi permetto di osservare che, spesso, la relazione causa-effetto funziona al contrario: il consulente, anche inconsciamente, ritiene che il suo lavoro consista, detto alla svelta, nel far guadagnare il cliente; e il suo modo di comunicare, anche qui più o meno volutamente, si piega a tale visione introspettiva. A quel punto il cliente percepisce, detto banalmente, che il suo consulente gli farà guadagnare di più dell’amico che incontra la sera al bar, e su questa errata percezione lo giudica, specie se non ottiene i risultati sperati (se ci perdo cosa ti pago a fare?!).

A fortiori: la pubblicità di un noto operatore del settore del roboadvisor, in cui due abbienti amici, uno un po’ più giovane ed uno un po’ più anziano, si recano su una bella cabrio d’epoca a giocare a golf, mette in evidenza come non basti un consulente, ma ci voglia un team di esperti per gestire la volatilità del portafoglio. Buona cosa, ovviamente: ma siamo proprio sicuri che sia questo ciò che veramente serve ad un investitore? (Al riguardo si veda anche mio altro articolo).

Ora, sono convinto che il 99,9% dei consulenti finanziari che leggeranno questo articolo staranno pensando: “Ma io non sono così! Io lavoro sulla base delle esigenze del cliente!

Ottimo, ma attenzione a non ingannare voi stessi, ovvero ad utilizzare una comunicazione non coerente con quanto ritenete di essere. Ad esempio, proprio in questo periodo, quanti post di consulenti vedo sui social che “inneggiano” alla bellezza dei rimbalzi di borsa dopo le crisi – l’ultimo, e a mio avviso più emblematico, propone il boom dello SP500 dopo la spagnola del 1918-1920, come se il mondo di oggi potesse essere paragonato, d’emblée, a quello di 100 anni fa. E, comunque, dopo il 1920, oltre al boom dello SP500 c’è stato anche un certo ventennio caratterizzato da totalitarismi, eccidi, ed una seconda guerra mondiale. Direi che è meglio non ripetere.

Ora, pensare che le Borse mondiali si riprenderanno è lecito; e tutti speriamo che avvenga al più presto. Così come è lecito, anzi doveroso, gestire in questo momento l’emotività dei clienti per evitare vendite dettate dal panico; ed ancora, indicare ai clienti che tramite un investimento graduale si possono sfruttare i momenti di volatilità dei mercati deve essere considerato, a mio avviso, un suggerimento saggio.

Ma non cadete nella tentazione di voler diventare dei piccoli Warren Buffet (che di cantonate ne ha prese anche lui) altrimenti la percezione che di voi avrà il cliente sarà appunto quella di tipo sub a), con tutte le conseguenze del caso.

Più interessante, invece, è analizzare meglio il contenuto della consulenza secondo la logica sub b). Riprendendo Gardenal e Rigoni: “Convincere gli investitori che il valore aggiunto di una consulenza agli investitori, che supporta il cliente in scelte complesse, può essere maggiore di quello di una consulenza d’investimenti, che persegue extra-rendimenti, è un compito difficile”.

Ok, è difficile; ma è proprio questo il compito del consulente e, oserei dire, il dovere sociale del consulente (al riguardo si veda questo articolo ). Ed è da questa attività di guida nelle scelte complesse, specie se di lungo termine, che emerge il valore aggiunto del consulente (al riguardo si veda questo articolo).

E’ inoltre facile comprendere come la definizione di consulenza sub b) ben si adatti al concetto di pianificazione finanziaria. Come noto, e come già ampiamente illustrato in altri articoli da me redatti (su tutti questo articolo ) la pianificazione finanziaria, che ingloba ma travalica il concetto di asset allocation, mira al mantenimento del tenore di vita di un cliente nell’intero corso della sua vita, e al raggiungimento degli obiettivi finanziari e di vita per lui prioritari. Essa richiede e si basa su una profonda conoscenza del cliente, acquisibile dal consulente non solo attraverso un importante dispendio di energie e di tempo, ma anche e soprattutto tramite un approccio diverso alla propria attività e una differente visione, appunto, del proprio ruolo.

E in prospettiva futura, quando saremo ritornati ad una “nuova normalità”, la pianificazione finanziaria diventerà ancora più importante. Il drammatico periodo che stiamo vivendo ci ha perlomeno insegnato che il nostro reddito da lavoro, fonte principale del mantenimento del nostro tenore di vita, può ridursi drasticamente o addirittura azzerarsi in brevissimo tempo; ovvero ciò può accadere a persone a noi vicine che abbiamo il dovere di sostenere (parenti e amici).

Sotto questo aspetto, diventerà allora fondamentale pianificare ancora più accuratamente le scelte di investimento dei clienti, prevedendo ad esempio specifiche riserve di valore da utilizzare in caso di crisi, se non dei veri e propri piani di emergenza da implementare subitaneamente. L’obiettivo non sarà allora quello di battere il mercato, o di ottenere strabilianti performance attraverso l’applicazione di algoritmiche strategie di trading, ma di accrescere la resilienza dei portafogli finanziari e dei patrimoni complessivi degli investitori.

Buon lavoro.   

 

[1]: Mi permetto di ricordare che, in punta di diritto, non sono i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede ad erogare, di per sé, la consulenza; i consulenti propongono infatti, fuori sede, il servizio di consulenza della banca (e difatti il contratto è firmato tra banca e cliente). Cosa diversa avviene per i consulenti autonomi e le società di consulenza, che sono invece equiparate ad intermediari ed autorizzati per legge a svolgere il servizio di consulenza, appunto.

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