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Il gemello digitale e il modello della Self Sovereign Identity.

Il digitale non può esistere senza interoperabilità condivisa

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Tra i tanti impatti che la digitalizzazione ha avuto sulle nostre vite, questa ha anche prodotto l’effetto di causare una sorta di sdoppiamento della nostra “identità” in due versioni, distinte ma uguali, e del tutto sovrapponibili: una reale e una, appunto, virtuale.

 

Il gemello digitale

Tale processo ha quindi portato alla realizzazione di un “gemello digitale”, ovvero, come ben descritto nel libro di Maria Pia Rossignaud “Oltre Orwell, il gemello digitale”, di un “avatar, la nostra vita raccontata dai dati (…), la rappresentazione dell’umano digitalizzato”.

Si tratta, in effetti, della nostra proiezione personale sul web, che assume un po’ le sembianze ideali dell’ombra di Peter Pan, e che si manifesta attraverso dati e codici alfanumerici, di cui però non tutto conosciamo e di cui cerchiamo perpetuamente l’affermazione.

La condivisione dei nostri dati, e quindi della nostra identità digitale, è divenuto un tassello di fondamentale importanza per accedere ed usufruire ad ogni tipo di servizio digitale, si tratti di quelli messi a disposizione dalla PA o di quelli, persino più numerosi e vari, delle imprese private che spaziano praticamente in ogni ambito delle nostre vite.

Imprese e pubbliche amministrazioni, acquisiscono, catalogano ed immagazzinano i nostri dati arricchendo di volta in volta i connotati del nostro gemello digitale resi sempre più nitidi dalle nuove informazioni aggiunte.

Benché il concetto di digital twin sia più ampio, filosofico e vario e, pertanto, non del tutto sovrapponibile a quello “semplice” di identità digitale è opportuno rimarcare l’inevitabile stretta connessione e rapporto di dipendenza che intercorre tra i due, soprattutto per quanto riguarda la relazione che li lega entrambi alla copia originale.

Viviamo, in effetti, in un’epoca governata dalla “datacrazia”, dall’analisi tecnica, scientifica e sistematica dei dati che va dal controllo di massa perpetuato da alcuni paesi alla semplice profilazione dei clienti operata da praticamente tutte le imprese, chi in maniera più fine chi più grossolana.

In questo (S)tato, il rischio è quello di perdere il controllo del nostro “gemello”, di vederlo muoversi autonomamente e sballottato dai flussi e dalle correnti, un po’ proprio come quella famosa ombra di Peter Pan del cartone animato Disney di cui si diceva prima. Per quanto la trasformazione digitale offra opportunità irrinunciabili, infatti, reca anche dei pericoli che rischiano di trasformare l’individuo (e quindi il suo doppio virtuale) semplicemente in una risorsa di informazioni cui attingere ogni qualvolta se ne abbia bisogno.

Dobbiamo quindi imparare a prenderci cura della nostra “copia carbone digitale” che è molto più ricca ed esposta alle intemperie di quanto non lo siamo noi stessi. Per riuscirci, vi sono varie risorse a nostra disposizione ma il buon senso nella diffusione, gestione e condivisione dei nostri dati rimane forse l’arma più efficace di cui disponiamo.

Inoltre, va tenuto sempre ben presente che senza standard di interoperabilità accettati e condivisi tra soggetti statali, operatori economici e privati, il digitale non può esistere.

Nella moderna economia digitale, tuttavia, si sta affacciando un’altra ipotesi che potrebbe presto divenire molto affascinante, si tratta della Self Sovereign Identity, una soluzione che risponde a precise esigenze di trasparenza e semplificazione e che rappresentano un rilevante vantaggio competitivo nei rapporti tra le imprese e la propria utenza potenziale restituendo a quest’ultima la gestione diretta della propria identità digitale.

Le possibilità date dalla SSI sono molteplici, e il suo mercato è destinato a crescere esponenzialmente nei prossimi quattro anni, tanto che entro il 2024 dovrebbe raggiungere un valore stimato di oltre 1,1 mld di dollari. Si tratta di un sistema sostanzialmente decentralizzato, ciò che a qualcuno potrebbe creare qualche perplessità, ma dai molteplici impieghi: in ambito digital banking o nel mondo dell’e-voting, nella sanità fino anche ai servizi pubblici.

La corretta gestione dell’identità digitale e delle informazioni di clienti, utenti e cittadini non può considerarsi solo come uno strumento indispensabile a velocizzare le procedure di on-boarding ma soprattutto come un vero e proprio motore di sviluppo.

Il perimetro delle nostre vite si è notevolmente ampliato rispetto a dieci o venti anni fa, è quindi necessario che si allarghi allo stesso modo il perimetro delle tutele e delle precauzioni della nostra persona in tutti gli ambiti: si tratta quindi tutt’altro che di un freno alle interazioni ma anzi di uno stimolo allo sviluppo economico e sociale (in sicurezza) garantito in una forma immutabile e verificata.

 

Maurizio Pimpinella

 

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