C’è un fantasma che aleggia sul mondo, si chiama inflazione

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Sono nato nel 1979 e l’inflazione l’ho conosciuta poco. Ne ho però sentito parlare tanto, specie del periodo fra il 1973 e il 1984 quando non scese mai al di sotto del 10%. L’ho anche sentita indirettamente rimpiangere, qualche volta.

Chi di noi appassionati di finanza non ha mai parlato con qualcuno che diceva: bei tempi, quanto i BOT mi davano il 6%. Costui non ricorda però che l’inflazione all’epoca era magari al 7% e quel rendimento nominale del 6%, se guardato dal punto di vista del rendimento reale, era negativo. La situazione lato potere d’acquisto era quindi molto simile a quella odierna coi BOT a -0,4%.

Veniamo però ai tempi nostri. Molti si chiedono perché ci sia questa ossessione per l’inflazione. Anche Weidmann, governatore della Bundesbank, ne ha di nuovo ha parlato giovedì 11 marzo affermando che è molto importante che la Bce ritiri tempestivamente la sua politica monetaria espansiva quando sarà prevedibile che si raggiungerò il tasso di inflazione prefissato, che per la BCE è del 2%. Però veniamo da un decennio di inflazione anemica o quasi di deflazione. Quindi perché tutta questa ossessione?

Se guardiamo con attenzione alla situazione economica odierna, effettivamente qualcosa che sta cambiando però c’è. Veniamo sì da un decennio di politica monetaria espansiva, ma al contempo la politica fiscale è stata improntata all’austerità.

Mentre le Banche Centrali inauguravano le politiche dei tassi a 0 o negativi ed il Quantitative Easing, la politica fiscale non seguiva questa strada. I governi, soprattutto quelli europei, hanno voluto mettere il pareggio di bilancio in Costituzione (Italia), oppure seguire la regola dello Schwarze null (Germania e paesi cosiddetti frugali), cioè “zero nero”, ove l’obiettivo è il pareggio di bilancio se non addirittura l’averlo in attivo. I consumi non sono quindi stati particolarmente incentivati, anzi. La politica fiscale ha remato di conseguenza contro alla politica monetaria, facendo precipitare l’inflazione ai minimi storici.

Adesso però la situazione è molto diversa. Oltre a politiche monetarie espansive (e la BCE non ha ancora del tutto escluso di portare i tassi ulteriormente in negativo), si sommano politiche fiscali fortemente espansive. Fra Trump e Biden in meno di 12 mesi l’economia americana ha ricevuto stimoli per 5.000 miliardi di $.

L’Europa, pur fra mille difficoltà e distinguo, per la prima volta ha messo in piedi un Recovery Plan da 750 miliardi di euro. E’ un’espansione fiscale che non ha precedenti nella storia dell’economia, di molto superiore a quella avvenuta durante la crisi finanziaria dei subprime.

E’ inoltre impossibile ignorare il fatto che i soldi che gli americani riceveranno dal governo verranno spesi nell’economia non appena saranno tutti vaccinati e la pandemia messa sotto controllo. Chi non ha fatto shopping nell’ultimo anno, recupererà almeno in parte i consumi non effettuati.

C’è poi da considerare che anche le materie prime hanno avuto un’impennata nei prezzi. Il rame ad esempio è cresciuto del 68% rispetto ad un anno fa. Anche i costi delle spedizioni dei container sono notevolmente aumentati. Pensare che tutti questi fattori non abbiano effetti inflattivi è quantomeno ottimistico.

In Italia i suoi effetti potrebbero essere sì positivi per il nostro enorme debito pubblico, ma anche molto negativi per i cittadini. Il debito verrebbe svalutato e quindi depotenziato, ma i cittadini, popolo di risparmiatori, verrebbero colpiti sia dal lato dei risparmi che verrebbero anch’essi svalutati, sia dal lato delle buste paga, che verrebbero indicizzate all’aumento dei prezzi sempre con ritardo. Insomma, se è ancora presto per essere presi dal panico, ci sono comunque validi motivi di preoccupazione.

Il lavoro del governatore della FED, Powell, e della governatrice della BCE Lagarde si prospetta complesso. Soprattutto per il primo, il gestire una ripresa economica da paese emergente (stima +7% per il PIL USA nel 2021 contro il 4% dell’Europa), con politiche monetarie e fiscali espansive, senza che l’inflazione scappi di mano è tutt’altro che facile.

L’importante ad ogni modo è che tengano ben presente il monito del noto economista Milton Friedman: “Non conosco nessun esempio di un paese che abbia risolto una situazione di grave inflazione senza attraversare una fase transitoria di bassa crescita e di disoccupazione”. E noi di queste ultime due, dopo quest’ultimo anno difficile, non ne abbiamo davvero ulteriore bisogno.

 

 

Alessio Benaglio

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