Economia

Italia: la carenza di materie prime mette in ginocchio il paese

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Aumento esponenziale delle materie prime

Lo scoppio della guerra ha accelerato lo shock inflattivo, basti pensare che in Europa è arrivata al 7,5% livelli ai massimi da oltre 10 anni. Il prezzo del gas è aumentato del +840% tra marzo 2021 e marzo 2022, +30% solo negli ultimi 3 mesi.
Ma sono aumentati a dismisura anche i prezzi di alluminio, plastica, petrolio e legname.

L’aumento generalizzato dei prezzi delle materie prime rappresenta sicuramente un ostacolo alla crescita, comprime il reddito disponibile delle famiglie e assottiglia sempre più i margini aziendali, con effetti evidenti sui consumi e investimenti. I rischi dell’impatto della guerra sono maggiori per l’Europa essendo l’area più esposta a uno shock protratto dai prezzi dell’energia, nonché al rischio di un taglio completo dell’approvvigionamento di gas russo. Si va in questa direzione.

Prima Putin costringe l’Europa a pagare il gas russo in rubli e ora, con il quinto pacchetto di sanzioni, il Parlamento europeo ha votato a favore dell’embargo totale ed immediato delle importazioni russe di petrolio, carbone e gas. Ma questa mossa che ripercussioni ha sul nostro delicato tessuto industriale?

L’Europa importa circa il 40% del suo gas dalla Russia e un blocco comporterebbe la necessità di razionamenti energetici e tagli forzati alla produzione per tutto il settore industriale. Certo esistono fonti alternative di approvvigionamento al gas russo ma queste potrebbero colmare soltanto la metà del divario. Gli Stati Uniti hanno recentemente sbloccato circa 1 milione di barili di petrolio al giorno dalle riserve strategiche mentre altri rifornimenti sostanziosi possono arrivare da Venezuela e Iran, ma a che prezzo? Secondo le ultime stime del Sole 24 Ore chi ha comprato il gas naturale liquefatto (GNL) dagli Stati Uniti a dicembre ha speso almeno il 50% in più rispetto a chi si è rifornito dalla Russia.

Rischiano il posto di lavoro fino ad 1 milione e 400 mila persone e 184 mila le aziende italiane che rischiano di chiudere a causa del caro energia amplificato dalla guerra in Ucraina. Si tratta di imprese che operano in settori tradizionalmente energivori come quello metallurgico, automobilistico, del legno, della plastica, del vetro e della ceramica. Molte di queste aziende avevano rapporti diretti con il mercato russo mentre altre sono legate alle materie prime provenienti dalle zone del conflitto come il grano, metalli e fertilizzanti. A questi settori se ne potrebbero aggiungere molti altri, infatti a causa del blocco dell’export verso la Russia stanno soffrendo anche moltissime imprese dell’abbigliamento, del lusso, dei mobili e delle calzature.

Stiamo parlando di una fetta davvero importante della nostra economia e il governo non può certo essere indifferente per evitare ripercussioni pesantissime sul Pil e sull’occupazione. Sono sempre più le aziende costrette a fermare la produzione per far fronte all’aumento esponenziale dei costi.

Per dare un’idea solo il settore siderurgico conta 550 aziende con 42 mila addetti, l’automotive 1500 aziende con oltre 90 mila addetti, la ceramica 2.350 imprese con 30 mila occupati, mentre sono più di 23 mila le aziende che si occupano di legname in Italia. Per non parlare del turismo, che quest’anno con molta probabilità risentirà dell’assenza totale dei turisti russi, un mercato che prima della crisi Covid generava in Italia circa 2 milioni di arrivi e solo nel 2019 i russi hanno speso più di 980 milioni di euro nel nostro Paese, pari al 2,2% della spesa totale dei viaggiatori stranieri in Italia.


L’impatto sui settori coinvolti

La carenza di gas a cui stiamo andando incontro implica una forte riduzione della produzione per tutti i settori ad alto consumo energetico ma in che misura? Per rispondere a questa domanda gli analisti di Algebris Investments hanno calcolato la quota di consumo di gas di vari settori tradizionalmente energivori rispetto al contributo del valore aggiunto lordo (GVA). Il GVA è una metrica della produttività economica che misura il contributo di una società, un’economia, una regione o un settore e si calcola come differenza tra la produzione lorda e la produzione netta.

Ecco che secondo le ultime stime un taglio completo del gas russo potrebbe significare una perdita 2,8 punti percentuali sul GVA e quindi sul valore aggiunto dell’area euro. Come si vede dal grafico molti sono i settori fortemente dipendenti dal gas e tanti potrebbero subire perdite di valore aggiunto superiore al 4%.

Rischio recessione?

In questo scenario così incerto si sta materializzando sempre più il rischio di una recessione e per valutarne le probabilità Algebris ha costruito dei modelli previsionali utilizzando diverse variabili e orizzonti temporali. Utilizzando solo variabili di tipo economico, i modelli indicano una probabilità di recessione inferiore al 10% sia per gli Stati Uniti che per l’Europa, in un periodo di 6 o 12 mesi, questo perché nonostante tutto i dati macroeconomici continuano ad essere forti.
Al contrario però, i modelli previsionali che incorporano anche le variabili del mercato finanziario, come la pendenza della curva dei rendimenti e le oscillazioni del mercato azionario, scontano una situazione ben diversa. Si stima oltre il 30% di probabilità di recessione a breve termine per gli Stati Uniti mentre per l’Europa, che è più esposta, i modelli previsionali vedono una probabilità di recessione che supera il 50 per cento.

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