Economia

La Storia non si ripete ma spesso fa rima

Era il settembre del 2018, giusto quattro anni fa, e nel numero 29 della newsletter parlavo della situazione di quel momento: il Presidente Trump che – allo stesso tempo – twittava felice perché l’S&P 500 aveva raggiunto quota 3.000 (massimo storico in quel momento mentre oggi quota 3.000 è la quota “spauracchio” in caso di ulteriore discesa) mentre se la prendeva con la Fed perché continuava a rialzare i tassi.

Anche allora infatti c’era stata una fiammata inflazionistica che la banca centrale americana aveva deciso di soffocare rialzando il costo del denaro; e anche allora il rialzo dei tassi di interesse (meno rapido di quello di oggi) aveva provocato un calo dei mercati, sia azionari che obbligazionari.

E alla fine il 2018 risultò uno dei peggiori anni di sempre, uno dei pochissimi in tutte le asset class (azioni, obbligazioni, materie prime, liquidità ecc…) chiusero in negativo.

Come riporto nel titolo (la frase è dello scrittore americano Mark Twain) la Storia non si ripete ma spesso fa rima: il 2022 si appresta – salvo recuperi che avrebbero del miracoloso – a essere ricordato come un annus horribilis; a differenza del 2018 non tutte le asset class sono negative ma le due di gran lunga più importanti sono ampiamente in rosso (come potete vedere qui sotto).

 

Il 2022 – se si concluderà come si prospetta – verrà sicuramente ricordato per il calo congiunto dei mercati azionari e obbligazionari dopo anni di buoni risultati, seppur non esenti da momenti di forti oscillazioni e nemmeno strumenti considerati sicuri come i Treasury americani hanno protetto gli investitori.

Solitamente infatti il mix azioni/obbligazioni 60/40 (il portafoglio “tipo” in Usa) ha funzionato proprio grazie a quella componente obbligazionaria che ha attutito i colpi negli anni bui per le azioni; quest’anno invece questo mix sta restituendo agli investitori un pesante -19,3% (peggior risultato dal 1931…).

C’è una luce in fondo al tunnel?

Ovviamente sì, innanzi tutto qualsiasi crisi – per brutta che sia – ha un inizio ma anche una fine e sarà così anche stavolta; ma mentre le crisi pur avendo tratti comuni sono sempre diverse quello che non cambia mai sono le reazioni “di pancia” dei risparmiatori che spesso, proprio nel momento di massimo pessimismo non riescono più a sopportare la volatilità e cedono uscendo dagli investimenti.

Secondo: in pochi mesi il mercato obbligazionario ha ricreato interessanti opportunità per quegli investitori pronti a coglierle (v. la crescita dei rendimenti dei titoli di stato dallo scorso anno a oggi).

Bisognerà avere ancora un po’ di pazienza, il processo di aggiustamento al rialzo dei tassi non è ancora concluso e le banche centrali hanno fatto capire chiaramente che non molleranno la presa fin quando i dati sull’inflazione non registreranno una stabilizzazione e poi diminuzione a costo di mandare le economie in recessione (evento oramai probabile).

La buona notizia è che alcuni segnali farebbero intendere che questo rallentamento sia già in atto: aspettative di inflazione a 5 anni in calo, costo dei noli per il trasporto marittimo in forte calo dopo mesi e mesi di rialzi.

Basterà? Probabilmente ancora no, e infatti i mercati sono ancora preda della volatilità spiccata (v. seduta di venerdì), non dimentichiamoci però che la volatilità è una caratteristica intrinseca dei mercati ed è quel famoso “prezzo del biglietto” che paghiamo per partecipare ai rendimenti di lungo termine (Charlie Bilello).

Un’ultima riflessione: la diversificazione e il comportamento sono determinanti per il risultato finale (entrare e uscire dal mercato quasi mai conduce a risultati positivi – v. slide tratta da Guide to the Markets di J.P. Morgan).

Diversification and the average investor

“Nel lungo termine, le notizie del mercato azionario saranno buone; nel XX secolo, gli Stati Uniti hanno subito due guerre mondiali e altri conflitti militari traumatici e costosi, la depressione, una dozzina di recessioni e panico finanziario, shock petroliferi, un’epidemia di influenza e le dimissioni di un presidente in disgrazia. Eppure il Dow Jones è salito da 66 a 11.497.”

Warren Buffett durante la Grande Crisi Finanziaria post Lehman Brothers

Massimiliano Maccari, 28 settembre 2022

 

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