Economia

L’avvocato Agnelli, Chiara Ferragni, Tod’s e il futuro europeo del Made in Italy

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Quando ad aprile Diego Della Valle ha accolto Chiara Ferragni nel CdA del Gruppo Tod’s probabilmente l’ha guardata negli occhi e le ha domandato: “Chiedimi chi era Gianni Agnelli”. L’icona dell’italian style. L’uomo che ha segnato un’epoca del capitalismo e della società occidentale e che secondo la legenda, indossando le scarpe Tod’s con i famosissimi pallini sotto le suole, ne decretò il successo internazionale sul finire del secolo scorso.

Leggenda appunto. Costruita ad arte da Luca Cordero di Montezemolo, legato da un sodalizio di amicizia e d’affari con Diego Della Valle, patron del brand di moda marchigiano. In realtà l’Avvocato avendo problemi alle gambe, dovuti ai molti incidenti stradali di gioventù, era solito utilizzare degli scarponcini ortopedici marroni anche nelle circostanze meno informali. Proprio da quell’esigenza che aveva poco a che vedere con lo stile, ma molto di più con un’esigenza concreta di benessere e salute, Diego Della Valle prese ispirazione per realizzare i suoi iconici lace up boots. Lo stivaletto venne sdoganato in alta società e finì per essere abbinato in tutto il mondo non solo sotto le polo e i pantaloni di jeans, ma imitando la sofisticatamente altezzosa nonchalance dell’uomo più potente d’Italia, anche sotto gli abiti eleganti.

Molti anni dopo, nel pieno della pandemia e con i conti economici non troppo floridi – nel solo 2020 un doloroso -30% di fatturato – a causa di una miope strategia nel prevedere l’arrivo del fenomeno dell’e-commerce a Casette D’Ete si saranno ricordati della lezione che diede il via all’avventura del brand Tod’s. Spesso sono le icone di stile le uniche capaci di impattare sul valore economico di un brand. Cambiano i protagonisti ma la ricetta di mercato resta la medesima.

E chi è oggi l’unica icona italiana di stile si saranno chiesti in riva all’Adriatico. Chiara Ferragni. Nessuna altra risposta era possibile. Diego Della Valle ha avuto così l’intuito di replicare l’operazione di auto-narrazione alla base del successo della sua azienda, lo storytelling dicono quelli à la page, e con un colpo da maestro del marketing e del maquillage economico ha ingaggiato la star milanese di Instagram, non come semplice influencer o testimonial per una campagna social, ma come vera stratega aziendale portandola dentro la stanza dei bottoni del gruppo.

I social e il mondo dell’informazione hanno strepitato all’annuncio. Entusiasmo generazionale da un lato, critiche canute dall’altro. Fiumi di inchiostro, anzi pardon, frastuono di ticchettii sulle tastiere e sugli schermi dei cellulari. In una parola: un enorme rumore mediatico. Il mercato subito ha iniziato ad inseguire la lepre. Il messaggio è chiaro. Un brand incapace fino a poche settimane prima di cogliere la veloce trasformazione del mercato, schiacciato dal peso della pandemia senza uno sbocco di vendita digitale adeguato a fronteggiare l’imprevisto del lockdown, in un solo colpo si è aperto alle nuove generazioni di acquirenti acquisendo la competenza di un’icona giovanile profonda conoscitrice della realtà del business incentrato sui canali di vendita digitale.

E non è passato inosservato agli osservatori finanziari il caso della società About You, sito di e-commerce dedicato proprio al target dei giovani, che ha debuttato sul mercato di Francoforte con un’ottima performance. Ma oltre alla Ferragni Diego Della Valle ha giocato anche la carta della prospettiva strategica a lunga gittata. La contemporanea cessione del 10% delle azioni del gruppo Tod’s al socio Bernard Arnault, proprietario di Lvmh, il più grande gruppo del lusso al mondo che nell’anno del Covid ha fatturato 44,7 miliardi di euro, a fronte dei 637,2 milioni di euro del brand italiano, ha prodotto una frenetica sollecitazione da parte del mercato.

L’ipotesi di un M&A – Mergers and Acquisitions – è un evento che diventa sempre più atteso. La possibilità che si realizzi un trasferimento del controllo dell’attività del gruppo italiano a favore di quello francese attraverso un passaggio di proprietà o una fusione è ritenuta dal mercato credibile. E così due semplici mosse, che non riguardano né l’innovazione del prodotto o del processo produttivo, né gli assetti occupazionali, né tantomeno il miglioramento dei conti economici, hanno spinto le azioni del brand Tod’s sul mercato azionario di Milano ad un clamoroso +116% in meno di 70 giorni.

Con buona pace dei creativi nostrani che ci inondano di pubblicità con le stringhe tricolore ispirati dai politici che sul tema della difesa dell’italianità stanno costruendo il loro becero consenso, l’aggregazione dei brand del Made in Italy dentro un contenitore di valore unico di cultura europea e di respiro globale non può che essere un’evoluzione naturale del mercato del lusso. Un esito difficilmente evitabile e da accogliere in modo pragmaticamente positivo.

Che poi questa realtà abbia origine, proprietà e management francesi e sede a Parigi e non a Roma deve interrogare il nostro sistema Paese, senza favorire becere riflessioni nazionalistiche, facendo innalzare barricate insensate. La competizione globale impone che i brand del lusso italiano entrino a giocare in squadre poliedriche che possano produrre valore di sistema. E che questi contenitori siano europei e non americani o cinesi ci deve tranquillizzare perché è un fattore che potrà garantire più facilmente che non si disperda la forza della creatività, il gusto e lo stile italiani. Loro Piana, Emilio Pucci, Acqua di Parma, Bvlgari. Hanno forse questi brand nati in Italia perso qualcosa della loro riconoscibilità, del loro indissolubile legame con il Made in Italy, del loro stile, della loro reputazione divenendo partecipati in maggioranza da capitale francese?

Del resto non è proprio la stessa strategia scelta dal nipote dell’Avvocato Gianni Agnelli, John Elkan che ha conferito il brand italiano più famoso al mondo, Ferrari, e la azienda più famosa d’Italia, Fiat, per dare vita a una nuova entità societaria, Stellantis, unendo così le proprie sorti e quelle di milioni di italiani che gravitano attorno all’industria automobilistica, con quelle del capitale dello Stato francese e della famiglia Peugeot?
 
Gusto italiano, cultura europea, respiro globale. Una formula che sarebbe piaciuta all’Avvocato.
 
 
Antonello Barone
 
 
 
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