Mercati azionari. E’ alto il premio al rischio

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Le improvvise discese dei mercati azionari tengono alto il premio al rischio

Mercati azionari. E’ alto il premio al rischio (prima parte)

A inizio settembre, in sole tre sedute, il Nasdaq ha perso quasi il 10 per cento. Molti commentatori non hanno attribuito questo calo subitaneo a notizie sul Covid o a improvvise informazioni o a fatti economici imprevisti, ma allo sgonfiarsi di una mini-bolla creata dalle opzioni. A testimoniarlo ci sono i volumi sul mercato delle opzioni, in particolare sull’indice Nasdaq. Alla luce dei commenti diffusi, spesso l’attività con le opzioni viene vista in modi negativi, cioè come forme di speculazione sui tempi brevi (cfr., per esempio, Morya Longo sul Sole24Ore, 18-9-20, p. 3).

Fonte: Economist modificata.

 

Sono i piccoli acquirenti che hanno gonfiato la bolla speculativa sulle opzioni.

Altri commentatori, invece, pur non negando i fatti testimoniati dai volumi sulle opzioni, li hanno inquadrati in una prospettiva diversa. In questo, come in altri cali improvvisi, hanno visto riemergere una causa che contribuisce a creare incertezza e paura nei confronti dei mercati azionari. Non va dimenticato che un calo azionario del 10% in tre giorni fa notizia sui media mentre un aumento del 20% in tre mesi è colto soltanto dalla stampa specializzata e dagli addetti ai lavori.

I media, dal loro punto di vista, hanno ragione. Sanno che sono i cali temporanei a provocare paure diffuse, a creare incertezza, a generare ansie. In questo modo però non contribuiscono a un’educazione buona dei loro lettori, ma alimentano quello che più volte ho chiamato il grande divario. Esso si manifesta in molti modi: il più evidente è che al 3 di ottobre 2020, a 10 anni, in euro, le azioni mondiali, senza reinvestire i dividendi, hanno reso annualmente l’8,86%  mentre l’indice obbligazionario JP Morgan Global ha reso circa il 3,61%. Non un grande divario, a prima vista: in realtà un immenso divario, se si tiene conto degli effetti cumulati nel tempo.

Alcuni commentatori, come Ken Fisher, dicono che è proprio questo divario psicologico tra paura e rischio oggettivo, misurabile, che permette di mantenere vivo e continuare ad alimentare il premio al rischio: il rendimento più che doppio di ciò che fa paura. Da questo punto di vista l’entità del premio al rischio è un meccanismo benevolo verso chi non ne è vittima. Potremmo inquadrarlo in quella tendenza più generale – che è latente anche in altri ambiti – tale per cui l’ignoranza è vista come una risorsa, ovviamente solo per alcuni, quelli che ne approfittano, non per chi ne è vittima. Incertezza, paura, e quindi premio al rischio, sono i fenomeni più rilevanti per capire i comportamenti odierni degli investitori e hanno radici molto lontane e, proprio per questo, difficili da sradicare.

Eppure liberarsi da quelli che Ken Fisher definisce “pregiudizi”, cioè meccanismi automatici attivati dall’architettura del cervello, è il punto cruciale. Non riuscire a farlo può forse essere vantaggioso per alcuni, ma è il fallimento delle scienze cognitive che produce e ha prodotto il maggior impatto socio-economico.

L’indice di incertezza sulle politiche economiche ha  raggiunto i livelli più alti dal 2005.

 

In settembre le grandi favorite del 2020 hanno subito una flessione rapida, improvvisa e tale da provocare paura. A Ottobre si sono già riprese.

 

Impatto delle quarantene sulle varie economie a fine settembre 2020.
I mercati lungimiranti hanno anticipato le curve.

 

La Cina, dove inizialmente il virus ha avuto l’impatto più forte, è una sorgente principale per la costruzione dei prodotti tecnologici.

 

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