L’Italia fa la reginetta del lusso, ma lo strapotere è delle big francesi

Il nostro Paese occupa 21 posizioni nella top 100. Ma le società sono ancora piccole e a gestione quasi familiare, così rischiano di diventare prede dei big esteri

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sfilata italia francia

Il Made in Italy occupa 23 caselle nella classifica delle aziende del lusso mondiale, ma tutti i veri pesi massimi sono francesi. E sono gli stessi – Lvmh, Kering e Richemont – che nell’ultimo decennio hanno fatto man bassa di molti gruppi iconici del nostro Paese.

Al punto che quando si entra a fare shopping in un negozio di via Condotti a Roma o in via Monte Napoleone a Milano ormai spesso a fatturare sono queste multinazionali. Parlano, infatti, la lingua di Voltaire marchi storici del nostro Paese come Fendi, Gucci, Loro Piana, Bottega Veneta, Bulgari, Pomellato e Dodo, Panerai o Buccellati. E lo stesso accade se, dopo lo shopping, ci si concede un caffè alla Pasticceria Cova, simbolo della Milano da bere ormai da dieci anni parte del gruppo Lvmh.

E’ il libero mercato e la dimostrazione di quanto il made in Italy sia attrattivo nel mondo. Dato, però, che è raro avvenga il contrario, cioè che siano i gruppi italiani a comperare i gruppi esteri, vale la pena una riflessione. Le vendite di tutte le società italiane sono aumentate nel 2022 e ventuno di queste aziende hanno registrato una crescita a due cifre, sottolinea Deloitte che ha realizzato il report sul lusso. Il problema però sono le dimensioni.

 

Fonte Deloitte

I primi cento gruppi del lusso del Pianeta – si legge nel Global Powers of Luxury Goods – hanno mosso un giro d’affari di 347 miliardi di dollari, 42 miliardi in più dell’anno precedente, a fronte di un margine di profitto prossimo al 13%. I primi tre italiani in classifica sono Prada, Moncler e Giorgio Armani ma si collocano rispettivamente  diciottesimo, al ventisettesimo e al trentesimo posto. Tutti insieme rappresentano, in forma aggregata,  il 35% delle vendite di beni di lusso dalle aziende italiane presenti nel ranking. Da qui si capisce non solo come siano ancora piccole ma come alle loro spalle precipiti la dimensione media.

 

Fonte Deloitte

 

Quasi tutte le società italiane sono state redditizie, con margini di profitto a due cifre registrati da Prada, Moncler, Max Mara, EuroItalia, Liu.Jo, De Rigo e Morellato. Quella che ha spinto di più gli utili  è Golden Goose.

Come detto, la testa della classifica parla tutta francese con Lvmh Moët Hennessy Louis Vuitton, Kering e Compagnie Financière Richemont che ha scalzato dalla terza posizione Estée Lauder. Merito anche della campagna acquisti e di una logica di sistema che permette ai cugini d’Oltralpe, con solo sette aziende in classifica ma di cui quattro sono nelle prime dieci (L’Oreal è sesta), di conseguire complessivamente le performance più solide. Nell’anno 2022, le vendite delle aziende francesi in classifica rappresentano quasi un terzo di quelle totali (32%) e la dimensione media è di 16 miliardi di dollari, più di quattro volte la media delle Top 100.

Se sei interessato al mondo della Moda leggi anche: Il WWF fa le pulci ai big del lusso, qui invece il maxi-investimento del fondo sovrano di Riad negli hotel di lusso Rocco Forte. Qui il piano del governo per arrivare a produrre un milione di auto in Italia.

Il tesoro dell’Italia sono le sue piccole e medie imprese, sovente realtà ancora a tradizione familiare capaci di distinguersi nel mondo. Ma senza pesi massimi nei settori strategici non si va lontano, anche nell’economia de-globalizzata creata dal conflitto in Ucraina. Alle nostre aziende serve una vera politica industriale da parte del governo, pensata per spingere gli investimenti e l’innovazione, per favorire le integrazioni e per fare sistema.

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