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Pianificazione Finanziaria. La scelta dei tempi di investimento

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Charles Franklin Kettering, uno dei più grandi inventori del XX secolo, si diceva interessato al futuro perché “è lì che passerò il resto della mia vita”.

Difficile trovare parole migliori per sintetizzare l’importanza del processo di pianificazione, qualsiasi sia l’ambito che esso riguardi. Se lo caliamo nel contesto finanziario, si tratta dunque di farsi trovare pronti, di riuscire ad accumulare quelle risorse necessarie a raggiungere i progetti di vita che riteniamo indispensabili, proteggendoci al contempo dalle intemperie che potrebbero presentarsi sul sentiero.

A parole sono moltissime le persone che condividono questo ragionamento, ma poi nei fatti diventa tutto terribilmente complicato. In una sola parola, potremmo dire che esiste una patologia comune a molti risparmiatori: la “rimandite”.

Pianificare significa rivedere le scelte di consumo, significa occuparsi oggi delle questioni che sappiamo si presenteranno domani, significa dedicare subito tempo e risorse a qualcosa che toccheremo con mano in futuro. Questo processo richiede uno sforzo che – dati empirici alla mano – gli individui sostituiscono spesso con un alibi, non prendendo una decisione.

Dietro alla rimandite cronica ci sono motivazioni scientifiche che gli studi di finanza comportamentale hanno ampiamente confermato.

C’è ad esempio lo status quo bias, che è rappresentabile come la distorsione che ci spinge a rimanere immobili, a preferire l’attuale condizione nella quale ci troviamo piuttosto che valutare un’alternativa. In estrema sintesi: il cambiamento spaventa, pertanto viene spesso evitato.

Al proposito, molto indicativi sono alcuni studi empirici (Samuelson, Zeckhauser) che hanno testato il comportamento di due gruppi di persone, alle prese con un’eredità. Il primo gruppo percepisce una somma di sola liquidità, mentre il secondo gruppo riceve, oltre a denaro cash, un portafoglio di titoli azionari. L’evidenza dimostra che, nel primo gruppo, la resistenza ad investire in azioni è molto alta e che gli individui del secondo gruppo portano invece avanti l’investimento trasferito. Per paura di sbagliare, lasciamo le cose come stanno.

Poi c’è lo short term bias, il tipico comportamento di chi presta attenzione solo a ciò che riguarda il presente. Lo “shortermismo” implica assenza di lungimiranza, di proattività nell’affrontare e risolvere temi futuri, scarsa consapevolezza di quanto il tempo – miglior alleato di chi investe – riesca ad alleggerire la fatica e ad avvicinare i traguardi.

Tra i numerosi riscontri empirici di questa distorsione, citiamo qui una recente indagine condotta su scala mondiale (Global Investor Study, Schroders, 2018), che dimostra quanto il mix di short term bias e scarsa educazione finanziaria sia letale.

La ricerca confronta soggetti già in pensione con altri in età professionale. Seppur con sfumature diverse, chi lavora è consapevole che in futuro avrà bisogno di più soldi per vivere: ritiene infatti che potrà avere uno stile di vita confortevole solo raggiungendo tassi di sostituzione del reddito significativi (superiori al 70%). Tuttavia, quando gli si chiede quale parte del risparmio intende investire con finalità pensionistiche, i risultati sono sconcertanti: le persone che lavorano e ravvisano il bisogno di costruire ricchezza futura investono di meno delle persone che in pensione ci sono già!

Detto in parole diverse, ci si accorge della reale profondità del problema troppo tardi: si investe per la vecchiaia quando si è già in pensione, senza comprendere di quanto migliorerebbe la situazione se solo si anticipasse il momento di pianificazione.

Come si supera la rimandite?

Non esistono naturalmente ricette magiche né regole valide per tutti. Ci riserviamo di riparlarne a stretto giro su questi schermi; nel frattempo, chi volesse approfondire ha a disposizione la prima piattaforma di formazione dedicata al consulente finanziario a questo link: https://kaidan.ecomatica.it

 

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