A Pechino non è andata proprio giu’ la mossa dell’amministrazione Trump che, attraverso Blackrock e MSC si è ripresa il controllo di Panama (in attesa di sancirla anche strategicamente con presidi militari) e di una 40ina di porti nel mondo, inclusi alcuni importanti terminal cinesi. E ancora meno sono piaciute le minacce americane contro l’industria cantieristica del Dragone, con l’ipotesi di tassare ogni nave che faccia scalo nei porti Usa e che sia stata costruita dai cantieri cinesi. “I cantieri Usa – contrattaccano i cinesi – non esistono o sono vecchi rottami con pensionati”. E tasse che portino nelle casse americane piu’ di 50 miliardi di dollari non sono accettabili.
Mentre gli occhi sono puntati sui possibili colloqui di pace fra Ucraina e Russi, il confronto che ha ormai assunto le caratteristiche di una vera e propria commerciale, fra Cina e Stati Uniti ha una dimensione globale. E mentre dall’Australia filtrano notizie di un potenziamento delle batterie missilistiche in funzione anti-nave (ovviamente alla luce della presenza sempre più ingombrante di navi militari cinesi non lontane dalle coste australiane), la cessione del 90% di CK Hutchison potrebbe clamorosamente tornare in discussione. Da un lato, le azioni della holding portuale di Hong Kong sono letteralmente collassate in Borsa nell’ex colonia britannica; dall’altro fonti del governo cinese hanno incominciato a mettere in dubbio che la transazione da oltre 22 miliardi (la più grande operazione portuale della storia), venga completata.
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La stampa cinese è andata giù pesante contro la cessione voluta (o accettata) dal magnate di Hong Kong Li Ka-shing, proprietario CK Hutchison. Cessione che viene definita un “tradimento di tutto il popolo cinese”, ma anche come un “atto egemonico” degli Stati Uniti che usano il loro potere nazionale per invadere i diritti e gli interessi legittimi di altri Paesi attraverso “mezzi spregevoli” come la coercizione, la pressione e l’induzione.
I maggiori giornali cinesi parlano anche di inginocchiamento, di un atto mercenario che non tiene conto degli interessi nazionali e della giustizia nazionale, che tradisce e svende tutto il popolo cinese.
E la risposta di Pechino non si è fatta attendere neppure sul fronte dei cantieri e delle navi made in China. Sia la China Shipowners’ Association (CSA) che la China Association of the National Shipbuilding Industry (CANSI) hanno aspramente criticato le proposte del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti di far pagare un extra alle flotte con stazza di costruzione cinese che fanno scalo nei porti americani.
A breve dovrebbe essere pubblicato integralmente a Washingon il rapporto del rappresentante commerciale degli Stati Uniti (USTR) sul crescente dominio della Cina nel settore marittimo, in particolare nel campo della costruzione navale. Il rapporto dell’USTR cita, tra le varie accuse mosse a Pechino, i costi del lavoro artificialmente ridotti, il trasferimento forzato di tecnologia e il furto di proprietà intellettuale. L’ufficio commerciale ha raccomandato tasse potenziali fino a 1,5 milioni di dollari per ogni scalo portuale di navi costruite in Cina..
Se una sosta nei porti americani si paga a peso d’oro
Non propriamente spiccioli visto che secondo un rapporto di Clarksons Research l’anno scorso navi costruite in Cina hanno effettuato quasi 37.000 scali nei porti statunitensi ; navi che potrebbero incorrere nella tassa massima di 1,5 milioni di dollari, il che equivale mal contate a tasse per 55 miliardi di dollari.
Secondo l’Associazione degli armatori cinesi le azioni proposte dall’agenzia americana sono discriminatorie e violano le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio nonchè quelle contenute nell’Accordo marittimo sino-statunitense del 2003i.
Ma intanto i primi effetti dell’azione condotta dall’amministrazione Usa cominciano a farsi sentire: le navi in qualche modo legate alla Cina stanno diventando meno appetibili per i noleggi a lungo termine.
Il ministero degli Esteri cinese ha dichiarato che la mossa di Trump comunque non potrebbe rivitalizzare l’industria navale statunitense e che la Cina avrebbe preso provvedimenti per difendere i propri diritti e interessi affidando poi ai giornali il compito di denigrare il livello tecnologico e la capacità produttiva della cantieristica americana spazzata via in questi anni come altre filiere industriali (dalla siderurgia , le officine meccaniche, in parte, l’automotive). “In America – sostengono i cinesi – esiste solo archeologia industriale e la vecchia manodopera specializzata è da anni in pensione”.