Due terzi del commercio americano, pari a 92 miliardi di dollari; 45.000 lavoratori portuali in grado di bloccare non solo 36 scali marittimi sulla costa atlantica degli Usa, ma anche una buona fetta dell’economia Usa; fra il 60 e il 70% delle esportazioni di greggio. Ma anche il 60% delle esportazioni di cereali e soia degli Stati Uniti che passa attraverso i porti della Costa del Golfo, e New Orleans è uno dei principali hub per le esportazioni agricole dal Midwest; i porti della Costa del Golfo gestiscono circa il 25-30% delle esportazioni statunitensi di macchinari industriali e attrezzature pesanti, in gran parte destinati all’America Latina e all’Europa; circa il 30-35% delle importazioni e delle esportazioni di autoveicoli degli Stati Uniti, circa il 25-30% delle importazioni statunitensi di acciaio, cemento e altri materiali da costruzione, provenienti principalmente dall’Europa e dall’America Latina.
Nella pressochè totale assenza di interesse dalla stampa italiana, lungo la costa orientale degli Stati Uniti è scattato il conto alla rovescia per uno sciopero, quello dei portuali, che potrebbe far deflagrare, per altro in piena campagna per la nomina del nuovo Presidente, l’intera economia degli States, innescando reazioni a catena peggiori un ordigno ad alto potenziale.
Sottovalutazione o calcolo del Presidente Biden?
Sottovalutati drammaticamente dal presidente Biden, che si era rifiutato di trattare con loro, circa 45.000 portuali americani si preparano a bloccare a partire dalle 6 (ora locale) del primo ottobre tutti e 36 i più importanti porti della costa orientale e del Golfo del Messico.
In un comunicato di domenica, l’International Longshoremen’s Association ha ribadito l’intenzione di organizzare picchetti il 1° ottobre nei porti dal Maine al Texas, in un’azione sindacale che coinvolge direttamente 25.000 lavoratori dei servizi container e ro-ro e 45.000 contando anche le imprese dell’indotto.
La causa della protesta? In un periodo in cui le grandi compagnie di trasporto container hanno portato a casa profitti senza precedenti, ai lavoratori portuali non è stato pagato un singolo cent di aumento salariale. E ora è venuto il momento della resa dei conti: l sindacato ha accusato la United States Maritime Alliance (USMX), che rappresenta gli operatori dei terminal e i vettori oceanici, di “rifiutarsi di affrontare un mezzo secolo di squilibrio sociale in cui i profitti dei vettori oceanici sono saliti da milioni a mega-miliardi di dollari, mentre i salari dell’ILA sono rimasti fermi”.
“Troppi profitti per gli armatori, nulla ai portuali”
Ora il sindacato chiede un aumento dei salari fino al 70% nei sei anni del nuovo contratto.
Il presidente Joe Biden, che ha cercato il sostegno dei sindacati in vista delle elezioni politiche che si terranno tra poche settimane, ha dichiarato che non bloccherà uno sciopero anche se la legge Taft-Hartley conferisce al presidente il potere di intervenire e di ordinare un periodo di “congelamento” delle proteste in attesa della ripresa delle trattative, ma secondo molti esponenti dello stesso Partito Democratico i rischi di una reazione a catena sulle varie componenti, industriali, logistiche, trasportistiche, distributive e commerciali del Paese (anche in vista dell’ormai in corso campagna di approvvigionamento di prodotti per le Festività natalizie) sono politicamente ancora maggiori rispetto a quelli derivanti da una resa anche parziale al Sindacato.
Il portavoce della Casa Bianca, Robyn Patterson, ha dichiarato domenica scorsa che nel fine settimana alti funzionari si sono messi in contatto con i rappresentanti dell’USMX “esortandoli a raggiungere un accordo equo e rapido, che rifletta il successo delle aziende” e ne faccia godere i frutti anche ai lavoratori portuali.
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Ma si prospetta anche un altro scenario politico: Biden potrebbe dare corda al sindacato e lasciare che l’interruzione del lavoro si trascini abbastanza a lungo per ottenere 65.000 voti sindacali per Kamala Harris nei tanti Stati in bilico, per poi far, o fare finta, di esercitare pressione sui datori di lavoro e salvare il Natale…dalle minacce del Fronte del porto..
I primi a subire le conseguenze dello sciopero dovrebbero essere i produttori del settore automotive le cui industrie si basano su scorte ridotte e consegne just-in-time
Diversi porti americani hanno già comunicato che accetteranno solo gli ultimi treni in arrivo e chiuderanno i cancelli dei camion invitando tutte le navi dovranno lasciare l’ormeggio in banchina.
E il colpo di grazia arriva dal Canada: gli spedizionieri che speravano che i terminal canadesi potessero recuperare parte del ritardo si trovano a fare i conti con uno sciopero parziale di 72 ore dei lavoratori portuali di Montreal, il più grande porto della costa orientale canadese, che metterà fuori uso circa il 41% della capacità del terminal container del porto.
Per intanto è partito anche un dibattito all’interno del sindacato in cui la componente più forte si oppone all’automazione e informatizzazione crescente delle operazioni portuali e sembra ipotizzare quasi una forma di “luddismo” contro l’avvento di una nuova rivoluzione industriale basata sulla meccanizzazione delle operazioni in banchina