L’introduzione dell’euro mirava a creare una completa Unione Europea con conseguente libera circolazione di individui, beni e capitali. Tuttavia, dopo 25 anni, abbiamo una confederazione monca, ovvero priva dei due elementi fondamentali: banche e fisco.
Non è concepibile, infatti, che in un sistema economico in cui circola una sola valuta vi siano molteplici e differenti regolamentazioni fiscali e bancarie; nonostante la politica monetaria sia decisa dalla BCE, ciò non è sufficiente né a perseguire i fini per cui l’Unione è stata fondata e tantomeno a creare le condizioni affinché le economie deboli potessero raggiungere la stabilità ed il benessere di quelle dei paesi più solidi e ricchi.
In pratica è come se nel nostro Paese vi fosse una sola valuta ma venti differenti sistemi fiscali (uno per ogni regione), venti differenti organizzazioni di sistemi bancari e la sola Banca d’Italia a decidere della politica monetaria; questa è esattamente la fotografia dell’attuale Unione Europea.
Gap tra aree economiche
Spesso si è sentito argomentare in merito ad un’Europa “a due velocità”; in realtà, con il graduale ingresso nell’Unione dei paesi dell’Est (cosiddetto Blocco di Visegrad) è più corretto ridefinire tale affermazione constatando, di fatto, tre differenti aree economiche che si differenziano tra loro, principalmente, per ritmi di crescita, welfare e pressione fiscale.
Purtroppo, contrariamente ai princìpi di equità sui quali l’Unione è stata fondata, durante i decenni trascorsi non è sato fatto nulla affinché i gap tra le citate aree economiche potessero colmarsi; nessuna politica finalizzata ad agevolare i paesi più deboli a riposizionarsi (verso l’alto) al fianco delle nazioni economicamente più forti.
Ne consegue che abbiamo un blocco in cui vi è (o meglio, vi era osservando ciò che sta accedendo in questo periodo) un gruppo di paesi le cui economie sono abbastanza stabili, detti anche nordici o frugali; una seconda area contraddistinta da nazioni con annose criticità, ovvero l’Europa mediterranea ed in fine i paesi dell’Est, abbastanza stabili e con livelli di benessere pari o superiori rispetto alla menzionata area meridionale.
Politica monetaria della BCE
Attenendoci alle regole base della finanza e dell’economia è giusto affermare che il ruolo primario della Banca Centrale Europea è quello di salvaguardare la stabilità finanziaria degli stati membri attraverso vari strumenti, quali, ad esempio, la politica dei tassi per combattere l’inflazione, i famosi quantitative easing, il controllo della base circolante, gli stanziamenti speciali nei periodi di emergenza dei sistemi bancari e così via, nulla da eccepire.
Ciò è servito semplicemente a mantenere una certa stabilità in tutte le economie dei paesi membri ma nulla è stato fatto affinché fosse eliminato il gap tra le tre aree economiche. Col senno di poi, guardando, ad esempio, al fallimento della Grecia (ormai quasi tutta “tedesca”), alla perdita da parte dell’Italia di tutte le più grandi aziende che hanno trasferito la sede oltreconfine, o sono state rilevate da gruppi esteri, ed a quanto sta accadendo a livello politico da qualche anno a questa parte… sorge il dubbio se questa “strategia” non fosse già programmata.
In parole povere la BCE ha operato correttamente in ambito prettamente finanziario ma non favorendo la crescita delle economie più deboli in modo tale che i paesi più ricchi diventassero sempre più ricchi e quelli poveri sempre più poveri.
Questa situazione si è venuta a creare a causa dalla differenza dei tassi all’interno di ogni stato membro (distanziati dal famoso spread) che hanno consentito alle banche degli stati più solidi di acquistare bond governativi nelle economie più in difficoltà lucrando ai loro danni per via degli interessi che hanno rappresentato, praticamente, trasferimento di ricchezza da una nazione all’altra.
Idem si è verificato con la differente pressione fiscale (che ovviamente non dipende dalla BCE) che ha reso più conveniente per molte big companies traferire le sedi in paesi in cui la tassazione è molto bassa (vedi Irlanda, Olanda, Ungheria), ovvero altro trasferimento di ricchezza da paesi “poveri” (che non possono permettersi aliquote basse) a paesi ricchi.
I tasselli mancanti per un’UE competitiva ed equa
Onde evitare queste disparità, in primo luogo, la BCE avrebbe dovuto adeguare la politica monetaria alle singole economie, ovvero diversificando la politica dei tassi in ogni singolo paese in modo tale da favorire il credito nelle economie più deboli per stimolare la crescita e creare più ricchezza generando l’effetto inverso a quanto accaduto, ossia spingere i paesi più ricchi ad investire in quelli più poveri mantenendo, inoltre, i tassi sui bond bassi onde evitare speculazioni.
È finanziariamente logico che un tedesco, il cui reddito medio è di circa 3.000 euro al mese, può permettersi di pagare un tasso sui mutui più elevato che un italiano medio … idem per le imprese, idem dicasi per i governi che devono pagare interessi sui titoli di stato e così di seguito.
Uno dei tasselli mancanti, come detto, complementare a tale politica monetaria, è l’unione fiscale mirata a scoraggiare la fuga delle società da un paese ad un altro impoverendo l’economia della nazione che abbandonano; la situazione attuale consente che all’interno dell’UE vi siano di veri e propri paradisi fiscali a danno di altri paesi membri. Più corretto, e giusto, sarebbe un’unica politica fiscale con eventuali agevolazioni per le aree speciali sulla falsa riga di quanto detto in merito alla politica monetaria.
leggi anche:
- Allarme crisi per il dollaro, pesano i dazi di Trump.
- Si accende l’allarme bolla immobiliare.
- Salari da incubo, italia ultima per portere d’acquisto.
In fine l’Unione Bancaria che, unitamente alle regolamentazioni monetarie e fiscali, completerebbe il processo di livellamento delle economie dell’Unione creando così un reale vera superpotenza economica in grado di competere ad armi pari con USA, Cina e Paesi Arabi.
Purtroppo, tutto ciò non si è potuto realizzare o, scientemente, non si è voluto fare per mantenere i rapporti di forza sempre allo stesso livello e favorire soltanto alcuni paesi?
Il quesito è più che lecito se si considera che prima dell’avvento dell’euro l’Italia era tra le quattro economie top mondiali (in alcuni periodi addirittura tra le prime tre) e dopo abbiamo perso posizioni, competitività ed aziende strategiche nonché interi settori in cui non avevamo rivali come automotive, moda, food ed acciaio.
Antonino Papa, 3 aprile 2025