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Per i laburisti australiani, basta pecore sulle navi: soffrono il mal di mare

Crollato da quasi 6 milioni a 600.000 capi l’export marittimo di ovini vivi. L’opposizione, con i farmers, pronta a dar battaglia nelle urne elettorali del 3 maggio prossimo per il rinnovo del Parlamento

Immagine generata da AI tramite DALL·E di OpenAI

“Dovremmo essere nelle strade a chiedere le elezioni e lo scioglimento delle Camere. Siamo un popolo di pecoroni. Abbiamo un Presidente non eletto che sta in piedi grazie a 50 parlamentari che hanno tradito il mandato elettorale”.  Forse ancora qualcuno ricorda le parole di Silvio Berlusconi, ospite nel 2016 del programma televisivo di Raiuno, Porta a Porta.

Il termine “pecoroni” è per altro una costante nel dibattito un po’ greve sulla democrazia, e sull’altrettanto famoso “uno vale uno” relativo alla qualità dei votanti.

Ma esiste un Paese in cui proprio dai pecoroni, e dalle pecore (per parità di genere), dipenderà probabilmente l’esito delle elezioni: il 3 maggio prossimo in Australia si voterà per il rinnovo del Parlamento Federale con implicazioni tutt’altro che marginali sulla tenuta dell’attuale governo laburista e  uno dei fattori che differenziano i programmi delle due coalizioni sono proprio gli ovini che ogni giorno vengono imbarcati su gigantesche navi stalla, per essere spediti vivi, principalmente nei Paesi arabi i cui abitanti della loro carne sono grandissimi consumatori.

Vent’anni fa l’Australia spediva fra pecore, montoni, agnelli e bovini quasi 6 milioni di capi all’anno, trasportati da navi ad altissima specializzazione dotate di tapis roulant per la distribuzione di mangime e fieno, altri tapis per lo smaltimento del letame, sistemi di produzione di acqua potabile e una percentuale via via sempre più bassa di decessi in navigazione. Navi in grado di trasportare sino 150.000 capi di bestiame – si diceva  – di cui si avvertiva con l’olfatto l’imminente arrivo ancora prima che apparissero all’orizzonte. Navi di cui era per altro leader, con una flotta di 26 unità,  un gruppo italiano, Siba, riconducibile alla famiglia di Balzarini di Brescia e poi riallocato a Singapore e recentemente in Noova Zelanda.

Adesso su pressione degli ambientalisti, il quantitativo di capi esportati principalmente verso Arabia Saudita, Emirati e altri Paesi di religione mussulmana, è sceso sotto i 700.000 all’anno con crescenti malumori nel mondo dei farmers che tradizionalmente incidono anche sulle scelte politiche dell’Australia.

Una legge già approvata dal governo laburista prevede che nel 2028 il traffico di animali vivi in partenza dall’Australia venga azzerato, e consentito…solo per via aerea; ma l’opposizione australiana, la Coalizione Liberal-Nazionale, proprio in campagna elettorale si è impegnata ad abrogare il divieto di esportazione di ovini vivi verso i mercati esteri, se prenderà il potere alle prossime elezioni federali.

L’Australia Occidentale, patria dei maggiori allevatori con una occupazione concentrata su questo comparto (anche per la produzione di lana) è uno Stato chiave nelle elezioni del 3 maggio. Le leggi per il futuro divieto di esportazione di ovini vivi sono state approvate l’anno scorso e il governo ha previsto un pacchetto di transizione di 107 milioni di dollari (68,2 milioni di dollari) per aiutare le aziende colpite.

Le pecore, almeno ufficialmente, non votano. Ma l’aspirante ministro dell’Agricoltura, il liberale David Littleproud ha detto a chiare lettere: “Il primo progetto di legge che presenterò, se diventerò ministro dell’Agricoltura, sarà quello di ripristinare il commercio di pecore vive”.

Ed è curioso come le pecore e non solo i pecoroni alle urne, siano diventate protagoniste della battaglia politica a livello mondiale con una netta dicotomia: a destra pecore in viaggio, a sinistra pecore da proteggere. Con una conferma che arriva dall’ Argentina dove il governo del presidente MIlei, dopo cinque decenni di black out e di divieti, ha dato via libera alle esportazioni di bestiame.

Ma tornando all’Australia, è da sottolineare come Israele, Giordania, Kuwait, Oman ed Emirati Arabi Uniti rappresentino oltre l’80% delle esportazioni di pecore vive dell’Australia, secondo un rapporto 2023 della società di ricerca ACIL Allen. Le tradizioni culturali e religiose di lunga data spingono la domanda di ovini vivi nella regione.

A dicembre, la Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals Australia ha dichiarato che le esportazioni di pecore vive rappresentano solo l’1% del valore totale delle esportazioni di carne e lana di pecora in Australia. La RSPCA ha sostenuto il divieto di esportazione di animali vivi, citando le preoccupazioni relative al benessere degli animali.  E il governo laburista ha dichiarato che fornirà un pacchetto di transizione di 107 milioni di dollari australiani (70,7 milioni di dollari) per aiutare le imprese colpite. Gli scambi commerciali potranno continuare fino alla data di scadenza del 2028 senza ulteriori restrizioni, come tetti o quote. Il divieto non si applicherà ad altre industrie di esportazione di bestiame o alle esportazioni di ovini vivi per via aerea…pecore in business class? Hanno vinto i pecoroni.