Gli acronimi negli ultimi dieci anni si sono sprecati. Da ZES a ZLS, passando per le SIC-ZSC e le ZPS. Scommettendo di averne dimenticati come minimo cinque o sei, queste sigle hanno contraddistinto la lunga marcia di avvicinamento (o di allontanamento) dell’Italia verso zone dotate di una normativa specie doganale di favore (Zone economiche speciali) che potesse attirare traffici, merci, magazzini logistici, ma perché no, anche attività produttive di assemblaggio di componenti sino alla realizzazione del prodotto finito in stato estero.
I risultati sino a oggi sono stati se non deludenti, almeno minimali: lo strumento che avrebbe dovuto tagliare anche la burocrazia, semplificare le procedure, alleviare la pressione dei dazi (non trumpiani, ma casarecci), è rimasto quasi lettera morta e, anzi, le risistemazioni interne di uffici e competenze delle Dogane, sembra stiano producendo risultati diametralmente opposti rispetto alle aspettative riposte da operatori sempre meno fiduciosi.
L’elettrochoc della politica americana sui dazi e la reazione della Cina (l’Europa continua a discuterne…) hanno risvegliato antiche pulsioni. “L’Italia deve abbandonare ogni indecisione e imprimere una brusca accelerazione a tutti i progetti di Zone economiche speciali, zone franche e Zone logistiche speciali, per affrontare con munizioni efficaci una guerra commerciale che si preannuncia lunga e che già oggi sta sconvolgendo gli equilibri e la convivenza fra Stati Uniti e Cina”. A tentare di imprimere uno scossone al letargo comunitario e italiano è stato il presidente della Federazione italiana agenti e mediatori marittimi (Federagenti), Paolo Pessina in rappresentanza di una categoria che da anni rivendica a gran voce il diritto a meno burocrazia ma anche a condizioni che possano attirare verso il nostro Paese investitori internazionali. Ovvero il contrario di quanto (con le inchieste giudiziarie ancora in corso) sta accadendo nel porto di Genova.
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Secondo Pessina, “ormai da due decenni ci eravamo abituati a cambiamenti repentini, ma il post Covid e quindi l‘instabilità globale dei mercati specie di quelle aree del pianeta che sono ripiombate nell’incubo della guerra, per non dimenticare la conflittualità commerciale permanente Pessina – stanno rendendo quasi compulsivi i ritmi decisionali esasperando la capacità di reazione. Piaccia o non piaccia, non esistono spazi per riflessioni prede della burocrazia e anche l’Italia è chiamata a premere sull’acceleratore schierando tutte le forze di cui dispone”.
E all’insegna dello “Svegliati Italia”, il presidente di Federagenti ha affermato a chiare lettere che “Il dibattito sulle aree con regimi doganali, ma anche contributivi e fiscali privilegiati non può più essere tirato per le lunghe. Le scelte, incluse quelle di delimitazione delle zone a regime speciale, devono essere compiute nel tempo più breve possibile e parallelamente va sfruttata ogni piega interpretativa nei regolamenti europei per rendere il sistema Italia, in primis i porti, quindi interporti e centri merce, nuovamente competitivo”.
L’impressione – ha detto Pessina Pessina – è che esistano margini ben più ampi per fare delle zone a regime doganale, fiscale e tributario, speciale delle vere e proprie teste di ponte contro la guerra commerciale globale in atto… ma nell’Italia del tanto parlare e del poco fare, è tutto più difficile.