Election day, ancora una una volta il Parlamento umiliato con i Dpcm

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Delitto perfetto: peccato che non se ne sia accorto praticamente nessuno. Zitti zitti, i giallorossi, tra un pasticcio parlamentare e l’altro, tra un voto contestato e uno ripetuto, hanno portato a casa l’election day di settembre. A prima vista, un osservatore distratto potrebbe perfino convenire: scadenze elettorali concentrate e anche il risparmio di qualche euro. Attenzione, però: in calendario non ci sono solo sei elezioni regionali e alcune comunali (tutti appuntamenti indiscutibilmente accorpabili), ma anche un referendum costituzionale confermativo, quello comunemente definito sul taglio dei parlamentari.

È immaginabile – per mille ragioni – un esito scontato di quella consultazione, ma accorpare quel voto a una scadenza regionale a fortissima caratura politica, e peraltro prevedere tutto a settembre, cioè con il grosso della campagna elettorale che avverrà ad agosto, a televisioni di fatto spente (senza talk show, senza approfondimenti), significa accettare il precedente per cui una riforma costituzionale avvenga senza dibattito, senza alcuna seria possibilità per i cittadini di discutere la posta in gioco. Personalmente non mi ha convinto, fino ad ora, né l’impostazione dei sostenitori del sì né quella dei supporter del no.

Ai primi, grillini in testa, rimprovero il fatto di aver dato solo una curvatura demagogica e anti casta a un taglio (che di per sé, dal mio punto di vista, sarebbe pure astrattamente condivisibile), ma che avrebbe avuto bisogno di una cornice coerente e chiara. Che forma di Stato vuoi? Che forma di governo preferisci? Vuoi portarmi a Washington (con il presidenzialismo), a Londra (con il premierato), o, purtroppo, …a Tripoli, confermando l’attuale assetto parlamentarista ma aggravandolo con una legge proporzionale che ridurrà la politica italiana, più ancora di quanto non lo sia già ora, a una rissa tra tribù e fazioni? Avere 300 parlamentari in meno (bene) servirà a poco se però saremo tutti appesi alle mutevoli volontà e ai piccoli ricatti di ognuno dei partiti e partitini che diverranno decisivi per formare le coalizioni traballanti che ci (s)governeranno.

Serviva e serve un respiro diverso. Proporre agli italiani un disegno coerente: un assetto istituzionale “decidente” (come in Usa o in Uk), un sistema elettorale coerente, e, in quel quadro, stando comunque attenti a evitare collegi troppo vasti che renderebbero i candidati “irraggiungibili” dagli elettori, una forte riduzione del numero dei parlamentari avrebbe avuto senso.

Sul lato opposto, non mi ha convinto nemmeno l‘impostazione finora scelta dal no, da coloro che peraltro hanno promosso il referendum. In primo luogo, per l’evidente strumentalità con cui la raccolta di firme è avvenuta in Parlamento alcuni mesi fa: con molti peones (non tutti, per carità) che hanno firmato più che altro con il retropensiero di allungare la legislatura rendendo più difficile e più lontano un eventuale scioglimento delle Camere. In secondo luogo, perché la pura e semplice difesa degli attuali mille seggi mi pare irrealistica, fuori dal tempo e dal mondo. Davvero qualcuno pensa di opporsi alla demagogia non con proposte di riforma serie e incisive, ma solo invocando la conservazione feticistica dell’esistente? È il modo migliore di regalare ai moribondi grillini un piccolo trionfo.

Ma le mie opinioni sul merito della questione sono irrilevanti. Ciò che conta è un punto democratico di metodo che speravo fosse ineludibile. E invece, ancora una volta, la democrazia è stata messa sotto i piedi: dopo il Parlamento umiliato con i Dpcm, abbiamo la presa in giro di una non -campagna referendaria, di una modifica costituzionale rilevantissima che avverrà senza dibattito, senza approfondimento, senza alcuna vera discussione in grado di portare l’elettorato a un sì, a un no o a un’astensione in modo davvero libero e consapevole.

Daniele Capezzone, 22 giugno 2020

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