Elogio filosofico dell’odio

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Non esiste più la censura di una volta. Quella del Sant’Uffizio, quella giacobina e napoleonica, quella (assai più blanda) della Restaurazione, poi quelle del comunismo, del fascismo, del nazionalsocialismo, disponevano infatti di una loro terribile dignità, una visione del mondo, magari orripilante, ma coerente. Al contrario la censura di oggi, fondata su una sorta di liberalismo leninista (imporre i valori liberali con metodi leninisti), è filosoficamente modesta, si vergogna di sé, si cela dietro burocrazia e moralismo, due fenomeni che oggi si sorreggono a vicenda.

Ne è buon esempio l’impianto, a essere generosi, concettuale su cui nasce la Commissione Segre e la sua missione: combattere l’odio, si presuppone per estirparlo dal mondo. Due sono le fonti per così dire intellettuali di questo discorso: uno il progressivismo liberal americano, che oggi è tutto un hate qui, hate là, proteggersi dall’hate, soprattutto i poveri millenial snowflakes, che si mettono a piagnucolare non appena uno alza un po’ la voce. La seconda fonte è quella della Corte europea dei diritti dell’uomo, parte di un progetto, assai pericoloso, di dittatura illuminata dei giudici, intenzionato a far entrare i documenti redatti dai magistrati di quella corte nella legislazione dei diversi paesi, senza passare per il parlamento,

La miseria e, diciamo pure, ingenuità filosofica di questa nuova censura sta proprio nel suo cuore concettuale: combattere l’odio. Ma l’odio è connaturato alla natura umana, è l’odio che ci rende diversi dalle specie animali, il leone divora la gazzella non perché la odi, ma perché deve sopravvivere, mentre le specie animali si può certo dire che provino amore, come hanno spiegato molti etologi. L’uomo  è un essere odiante, e lo sanno benissimo tutte le grandi religioni e in particolare la nostra occidentale, con il peccato originale e con l’uccisione di Abele da parte di Caino, che lo odia.  Achille stima all’infinito Ettore, come aristos suo pari grado, ma al tempo stesso lo odia, fino a fare scempio del corpo. Lo odia proprio perché ha annichilito il suo oggetto di amore, Patroclo, e perché è un aristos come lui: non si odia uno schiavo, o un inferiore. La filosofia della Grecia classica, da Empedocle in poi, del resto sa che odio e amore erano strettamente intrecciati, il secondo non potendo esistere senza il primo.

La tradizione classica incontra quella cristiana e giunge a vette raramente insuperate con San Tommaso d’Aquino che, nel trattamento delle passioni della Summa Theologica, individua in amore e odio, due principi inseparabili, le massime passioni dell’uomo. Se l’amore coincide con la Verità, quindi con Dio, l’odio è un mezzo per arrivare a questa conoscenza, sia pure per contrasto. “L’odio è più sentito” perché è un’azione che l’uomo compie credendo di eliminare un ostacolo che lo divide dal bene, quindi “l’odio correlativo a un amore più grande muove più di un amore minore”.

Un grande seguace dell’Aquinate come Dante dipinge l’odio in una delle forme letterarie più alte di tutti i tempi, quello dello stesso poeta sullo Stige, quando nel Canto VIII dell’Inferno incontra Filippo Argenti, lo “spirito maledetto” che Dante chiede a Virgilio venga fatto a brandelli nella “broda” bollente del fiume infernale. Il grande scrittore inglese Chesterton, cattolico e supremo conoscitore di Tommaso e di Dante, scriveva che “è l’odio che unisce gli esseri umani, mentre l’amore è sempre individuale”.

E ora invece no. Arrivano quattro politicanti da strapazzo, peones voluti dalle varie lobbies che premono su parlamenti ormai discreditati, a volerci convincere, contro la Bibbia, l’Iliade, la Divina Commedia e Tommaso d’Aquino, che l’odio va estirpato dell’uomo per imporre quello che il francese Philippe Muray chiama “l’impero del bene”. Comunque finirà, sarà una farsa, anche se una pericolosa farsa.

Marco Gervasoni, 1 novembre 2019

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