Esteri

Energia, inflazione, follie green: cosa imparare dalle rivolte in Sri Lanka

Il Paese è nel caos a seguito delle direttive impartite dalle élite verdi occidentali

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di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi

Come si sa, anche se sui giornali cartacei la notizia quasi non compare, in Olanda gli agricoltori si sono mobilitati contro il governo che ha vietato l’impiego di nitrogeni nel mezzo di una crisi alimentare, in ossequio alle politiche cosiddette “sostenibili”. In diversi paesi sudamericani e in Egitto ci sono dimostrazioni e rivolte. Ma l’esempio più eclatante dell’effetto distruttivo sulle vite umane delle politiche delle élite occidentali lo si è visto nello Sri Lanka.

Lo Sri Lanka è nel caos. I manifestanti hanno fatto irruzione nelle residenze ufficiali del Primo Ministro e del Presidente che per paura sono fuggiti in luoghi sconosciuti. La ragione dichiarata è che la nazione è in bancarotta, soffrendo la peggiore crisi finanziaria degli ultimi decenni e milioni di persone stanno lottando per trovare cibo, medicine e carburante. La carenza di energia e l’inflazione sono stati i principali fattori alla base della crisi. Tutto vero. Ma c’è una goccia che ha fatto traboccare il vaso.

I leader politici del paese hanno seguito alla lettera le direttive delle élite “verdi” occidentali che chiedevano agricoltura biologica e “Esg” sostenibile, seguendo criteri ambientali, sociali e di governance rivolti a ridurre il biossido di carbonio. Lo Sri Lanka ha un punteggio Esg quasi perfetto (98), superiore a quello della Svezia (96) o degli Usa (solo 51). Ovviamente ci sono fattori concomitanti come il lockdown dovuto alla Covid-19 imposto in Sri Lanka in modo drastico a differenza dell’India, Pakistan e Bangladesh, sempre perché i leader del paese erano allineati con le direttive degli Usa, Oms e Bill Gates diciamo così (tanto per semplificare il discorso).

In più è vero che i leader dello Sri Lanka hanno insistito per ripagare la Cina per vari progetti infrastrutturali “Belt and Road” quando altre nazioni si sono rifiutate di farlo appunto a causa della crisi pandemica. Poi l’aumento del prezzo del petrolio che è raddoppiato, ma sempre come effetto in larga parte delle politiche per il Co2. Ma il problema più grande e principale, che ha causato la caduta dello Sri Lanka, è stato il divieto dell’uso di fertilizzanti chimici nell’aprile 2021. Oltre il 90% degli agricoltori del paese aveva utilizzato fertilizzanti chimici e, dopo il divieto, l’85% ha subito perdite di raccolto.

La produzione di riso è diminuita del 20% e i prezzi sono saliti del 50% in soli sei mesi. Lo Sri Lanka ha dovuto importare riso per un valore di 450 milioni di dollari nonostante fosse stato autosufficiente nel grano solo pochi mesi prima. Il prezzo di carote e pomodori è aumentato di cinque volte. Anche il tè, la principale esportazione della nazione, ha sofferto, riducendo la capacità di acquistare prodotti dall’estero. Nel novembre 2021, lo Sri Lanka ha cercato di invertire la rotta, ma era troppo tardi. Il presidente ora fuggito, Rajapaksa, ha detto: “Non abbiamo abbastanza fertilizzanti chimici nel paese perché non li abbiamo importati. C’è una carenza”. Alla fine dello scorso agosto, Rajapaksa aveva dichiarato lo stato di emergenza e dopo di allora il caos e la violenza sono aumentati fino a quando i leader sono tutti dovuti scappare e nelle loro ville campeggiano ora i manifestanti.

Nessuno scapperà dalla ville in Italia ma la carestia di cibo e di energia, che si preannuncia per l’autunno, potranno innescare proteste anche nel nostro paese.

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