Checché ne dicano i rosiconi di sinistra, compresi gli odiatori anti-sistema di tutte le risme, la premier Meloni si è comportata egregiamente nella tana del “lupo” che alberga alla Casa Bianca. Mostrando di trovarsi a pieno agio in quello stesso Studio Ovale nel quale fu letteralmente bullizzato il povero Zelensky, la Giorgia nazionale è addirittura riuscita a schivare una domanda trabocchetto proprio su tale evento, virando sulla questione della spesa militare e riuscendo persino ad ottenere dal presidente americano un giudizio assai meno devastante sul leader ucraino.
Ma è su un piano più generale che la Meloni ha cercato di portare il Tycoon a volare molto in alto, quando ha fatto riferimento all’Occidente inteso come civiltà, condivisa visione del mondo, tradizioni, usi e costumi acquisiti attraverso una millenaria evoluzione. E lo fatto con queste parole: “Voglio ringraziare il presidente Trump per aver accettato l’invito a una visita ufficiale a Roma. Il mio obiettivo è fare l’Occidente grande di nuovo e penso che possiamo farlo insieme.”
In primis, occorre riconoscere che in questo “make west great again” possiamo riconoscere l’acume e la scaltrezza di una leader, che molti in passato, me compreso, hanno sottovalutato. Un acume e una scaltrezza chiaramente tesi a stuzzicare l’orgoglio e il patriottismo del capo supremo della principale democrazia dell’Occidente, nonché la nazione che ne ha difeso per decenni i suoi principali valori, commettendo ovviamente anche molti errori dato che non viviamo in un mondo perfetto.
Tuttavia, facendo riferimento in modo così esplicito al mondo occidentale, inteso non come uno spazio geografico ma, per l’appunto, come un modello di sviluppo economico, sociale e politico, la Meloni ha voluto riportare in primo piano la grande affinità valoriale tra le due sponde dell’Atlantico, i suoi legami culturale e, dato che non si vive di sola filosofia, i suoi reciproci interessi economici.
E nel suo auspico per un Occidente più unito, pur non avendolo espresso esplicitamente, è anche possibile leggere un sostegno indiretto a Trump nei confronti della guerra commerciale scatenata contro quello che lui definisce il suo principale nemico: la Cina.
La stessa Cina che è divenuta da tempo la fabbrica dell’intero pianeta e che sta obiettivamente impostando il suo progetto egemonico non sulla potenza degli arsenali, bensì sulla sua crescente e per molti inarrestabile potenza produttiva e commerciale.
Sotto questo profilo sembra profilarsi un vero e proprio scontro di civiltà, accelerato dalle mosse, a mio avviso molto azzardate, di Trump, i cui effetti a medio e lungo termine nessuno è ovviamente in grado di prevedere. Ma va da sé che se l’Occidente pacifico continuerà a procedere in ordine sparso su alcuni aspetti fondamentali che regolano le relazioni internazionali, la spinta bellicista di alcune autocrazie e quella commerciale di altre -tanto per non fare nomi – potrebbe avere la meglio, destabilizzando ulteriormente un panorama mondiale per nulla rassicurante.
Claudio Romiti, 22 aprile 2025
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