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Giuseppe Bono, l’ultimo samurai che salvò Fincantieri

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Giuseppe Bono, l’ultimo grande ‘samurai’ pubblico. Il manager, scomparso improvvisamente ieri a 78 anni era stato ‘pugnalato’ professionalmente qualche mese fa da Dario Scannapieco, nella sua veste di ‘sicario’ della coppia Draghi-Giavazzi. L’ad di Cassa Depositi e Prestiti, gli aveva freddamente comunicato che non sarebbe stato riconfermato al vertice di Fincantieri. La creatura che solo Bono con la sua lungimiranza ha reso, negli anni, una realtà mondiale.

Peppino, come lo chiamavano tutti, ha sopportato anche il cinismo con cui gli si rimandava l’appuntamento di ora in ora, dalla sera al mattino successivo. Con l’arrivo del ‘governo dei migliori’ temeva di venire rimosso dall’incarico di amministratore delegato dell’azienda cantieristica, ma confidava nelle guarentigie che gli erano arrivate dal suo vecchio amico ed ex ministro della Difesa Sergio Mattarella, oggi al Quirinale, dal ministro Lorenzo Guerini e contava di restare come Presidente. Avrebbe dovuto prendere il posto di Giampiero Massolo, chiamato in Atlantia e anche lui rimosso senza neppure un cenno di riguardo da Palazzo Chigi…“as usually”.

Presidente di Fincantieri è diventato invece un generale dell’esercito, che seppur di grande valore, di fatto lontano da quel mondo della Marina Militare che è inorridita e che si è sentita abbandonata. Grazie a Giuseppe Bono, socialista, legato soprattutto a Giuliano Amato, la Marina ha ritrovato smalto e attenzioni, con una sinergia perfetta con Fincantieri che ogni paese invidia; l’idillio iniziò quando Bono venne chiamato, oltre due decenni fa, a salvare Fincantieri dal dissesto nel quale era precipitata. Piccolo di statura, orgoglioso delle sue umili origini calabresi, sfegatato juventino, amante della vita semplice, lontano dai riflettori, una passione per la politica, s’inventò, grazie ad un suggerimento del suo amico armatore Manfredi Lefebvre, la cantieristica di crociera. E i grandi armatori del mondo si inchinano oggi alla sua memoria avendo trovato un interlocutore brillante e capace che assieme a Fabrizio Palermo, per anni suo brillante ed operativo braccio destro, hanno fatto di Fincantieri un player mondiale, mentre Finmeccanica, ora Leonardo, non riesce, sotto la guida di manager come Mauro Moretti e Alessandro Profumo a trovare né pace né equilibrio.

Sul possibile fidanzamento tra le due società Bono aveva idee chiare, ma ha trovato sempre l’avversione del burocrate Alessandro Rivera, ombroso direttore generale del Tesoro. Chissà se ora, il nuovo esecutivo, da Giorgia Meloni a Guido Crosetto fino a Giancarlo Giorgietti che tanto lo apprezzavano avranno la forza di portare avanti le intuizioni ‘magiche’ di questo manager al quale è stata negata anche la soddisfazione di occuparsi della Fondazione Fincantieri. Questo è spesso il destino dei grandi uomini, tuttavia il tempo è galantuomo come ha sempre dimostrato Bono, con la sua tenacia di operaio partito dal Sud verso il Nord che ha creduto in progetti visionari come la ricostruzione del Ponte Morandi modello che si vuole ora replicare per il Ponte di Messina.

L’Italia ha bisogno di questi pragmatici ‘samurai’ che parlavano di logistica integrata, di autostrade del mare, di retroporti, e che da un sogno creano posti di lavoro e benessere per la nazione. Il mondo della cantieristica mondiale c’è l’ha invidiato, il governo Draghi lo ha messo da parte. Peppino non è riuscito ad avere la gioia di prendersi cura della casa in Maremma, da poco acquistata, e che voleva godersi con la famiglia e i nipoti.

Luigi Bisignani per Il Tempo 9 novembre 2022

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