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Giustizia all’italiana: Salvini a processo, Rackete archiviata

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carola rakete

La giustizia non solo deve essere giusta, ma anche apparire tale. È un vecchio adagio a cui sarebbe opportuno dare la considerazione che merita. Forse così si spiegherebbe il crollo verticale di credibilità presso gli italiani di giudici e magistrati, clamorosamente attestata dagli ultimi sondaggi. Se però manca la fiducia negli operatori di giustizia, è lo Stato che inesorabilmente tracolla.

Il caso che ha vista imputata la capitana della nave tedesca Sea Watch 3, appartenente all’omonima ong, Carola Rackete, che due anni fa aveva forzato un posto di blocco navale mettendo in serio pericolo forze dell’ordine in servizio (e lo stesso equipaggio della sua imbarcazione), e che si è risolto ieri ad Agrigento con un’archiviazione, è altamente significativo da questo punto di vista. Soprattutto se messo in confronto con il diverso trattamento riservato a Palermo all’allora ministro degli interni Matteo Salvini, che quella legge che la Rackete ha infranto, aveva imposto alle forze dell’ordine di far rispettare. Il processo a suo carico, fondato su elementi capziosi e evanescenti, ci sarà il 15 settembre.

Sarà solo un caso, o un problema solo di percezione pubblica, ma come non tenere conto del ragionamento semplice semplice che fa l’italiano medio quando vede premiata la violazione della legge e punito il suo rispetto? E come non valutare che la motivazione con cui la Rackete è stata scagionata assomiglia tanto, sia nella parte relativa al gip, che ha parlato di un precisato stato di necessità”, sia nelle parole della Cassazione, per tono e sostanza, a quella dell’Azzeccagarbugli di manzoniana memora?

Ripeto, qui non si vuole contestare una sentenza, né accusare i giudici: non è questo il luogo. Troppi casi hanno però dimostrato che i giudici agiscono spesso per fini politici e che la magistratura non ha un meccanismo interno di autocontrollo che dia un senso a quella “indipendenza” che è scritta nella Costituzione ma che così come sembra scadere nell’impunità di casta.

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