Green pass, la domanda che nessuno ha fatto

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Come era prevedibile che accadesse nel Paese dei bolli e della ceralacca, il tanto celebrato green pass è partito nel caos più totale, aggiungendosi a molte delle altre demenziali misure che stanno accompagnando l’Italia in una infinita emergenza sanitaria senza emergenza. Durissime in questo senso le parole di Giancarlo Banchieri, presidente della Fiepet, l’associazione della Confesercenti che riunisce migliaia di attività operanti nel mondo della ristorazione: “Come temevamo, l’introduzione dell’obbligo ha creato incertezza sugli avventori, che preferiscono evitare complicazioni e scelgono di consumare solo all’aperto, ignorando le sale interne. Ci sono state anche reazioni scomposte, che hanno messo in difficoltà i gestori, cui è stato affibbiato contro ogni logica il ruolo di agente di pubblica sicurezza. Un ruolo su cui, oltretutto, non abbiamo avuto i necessari chiarimenti. A partire dalla questione del controllo del documento per verificare che l’identità di chi presenta il green pass: a chi tocca, e con quale autorità? Al danno si aggiunge poi la beffa delle difficoltà tecniche riscontrate nell’utilizzo della app dedicata alla scansione elettronica del certificato, per la quale è necessario avere uno o più smartphone dedicati di ultima generazione o quasi”.

Tutto ciò, peraltro, ha trovato una chiara conferma in alcuni servizi televisivi trasmessi anche dai canali Rai, in cui si è chiaramente evidenziato un fatto: lungi dal renderci liberi, così come recita un raggelante spot di Forza Italia, il green pass restringe ulteriormente il nostro spazio di libertà, facendoci scendere  altri gradini verso l’inferno di un totalitarismo sanitario, con tutte le gravissime conseguenze sociali, psicologiche ed economiche del caso. Nondimeno, almeno per il momento, la maggioranza dei cittadini italiani, al di là di qualche mugugno, stanno ingoiando anche il rospo di un lasciapassare di stampo stalinista perché, al pari di tutte la altre misure restrittive, è stato fatto loro credere che esso costituisce l’ennesimo, “modesto” prezzo da pagare in cambio della salute o della stessa vita.

Eppure per far cadere questa tragica illusione, almeno nella mente di chi possiede ancora un barlume di senso critico, basterebbe porsi una classica domanda delle 100 pistole: come mai non nel secolo scorso, bensì nell’estate del 2020 in pratica c’era solo l’obbligo di indossare la mascherina al chiuso nei luoghi pubblici, pur non potendo contare neppure sullo strumento fondamentale dei vaccini? E non ci si venga a dire che oggi, malgrado una campagna vaccinale che ci vede ai primi posti al mondo, è solo a causa della variante Delta che il governo di salute pubblica ci infligge questa ennesima umiliazione democratica, dal momento che non ci sono evidenze circa una maggiore gravità sul piano della malattia determinata dalla variante medesima.

Sta di fatto che lo scorso anno non c’era un solo vaccinato in Italia e del green pass non esisteva neppure il nome, malgrado ciò siamo andati avanti lo stesso senza raccogliere i morti per le strade, come i tanti Savonarola sanitari in servizio attivo permanente continuano a prevedere a giorni alterni.

Ovviamente in un mondo normale simili domande dovrebbero scaturire spontanee soprattutto nel settore dell’informazione, in quanto essa è chiamata a svolgere un ruolo fondamentale nelle democrazie liberali: quello di diffondere il pluralismo delle idee. Ma con l’arrivo del Sars-Cov-2 e l’instaurazione del giornale unico del virus, tutto questo sembra oramai un lontano ricordo.

D’altro canto, così come la storia insegna, dal giornale unico per giungere al partito unico il passo può essere molto breve, soprattutto se consideriamo che ad opporsi all’attuale regime sanitario c’è una sola forza politica di rilievo e qualche coraggiosa testata, come questo giornale, che si conta sulle dita di una mano. C’è veramente da stare poco allegri.

Claudio Romiti, 9 agosto 2021

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