“Hammamet”: il caso Craxi e la vigliaccheria italiana

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In questi giorni, al cinema, proiettano con buon successo Hammamet, il film di Gianni Amelio sugli ultimi anni di Bettino Craxi, interpretato da un eccellente Pierfrancesco Favino. Il tema è delicato. Tangentopoli ancora divide. Mani pulite fu un’inchiesta che ebbe il merito di ripulire la politica corrotta? Oppure un lavacro poco rispettoso del diritto, con gravi eccessi nell’uso della carcerazione preventiva, che condannò il pentapartito ma risparmiò i post comunisti? Spazzò via un sistema marcio? Oppure fu il vero battistrada dei cosiddetti populismi? Le monetine all’hotel Raphael, che bersagliarono Craxi, furono l’ennesima dimostrazione della vigliaccheria italiana. In ginocchio davanti ai socialisti quando Bettino era l’uomo nuovo della politica. In assetto da linciaggio davanti ai socialisti quando Bettino era l’uomo più ricercato dalle procure italiane. Diverso il giudizio anche sul declino di Craxi in Tunisia. Esule per qualcuno. Latitante per altri.

Il film di Amelio è molto equilibrato. Per questo soffre di qualche lentezza. Però è molto interessante. Resta da stabilire se sia esattamente una pellicola su Craxi oppure in generale sul potere visto da chi l’ha perduto. Ma questo lo può stabilire solo chi ha conosciuto il leader del Psi, visto che Amelio si addentra nel privato. Allo spettatore restano alcuni spunti che rimangono tali per inevitabili esigenze cinematografiche. Procediamo passo per passo. All’inizio Craxi spiega che la storia va vista nel suo insieme. I grandi uomini (come lui si reputa) non si soffermano sul dettaglio ma guardano l’insieme e si preoccupano dell’obiettivo finale. Insomma, la corruzione è un male minore, una triste necessità da sopportare per ottenere un risultato storico: nel caso di Craxi svecchiare un Paese imbalsamato, aprendolo ai nuovi imprenditori, all’epoca fuori dai salotti buoni dell’industria italiana. Silvio Berlusconi, ad esempio.

In questo, Craxi privilegia una visione della storia tipicamente di sinistra. È la dialettica secondo la quale il male sarà giustificato a posteriori dal raggiungimento di un fine nobile. Il secondo spunto riguarda il rapporto tra denaro e politica. Qui il film riecheggia il famoso discorso di Craxi sul finanziamento pubblico dei partiti. Craxi ammise di aver infranto la legge ma ne fece una questione di sistema: tutti avevano bisogno di soldi per fare tutto. Tutti hanno infranto la legge. Essendo una questione di sistema, toccava al sistema, cioè alle istituzioni, e non alla magistratura, porre rimedio alla situazione.

Facile l’obiezione: bisognava dirlo prima, quando le inchieste non erano ancora in corso. Una obiezione che non scalfisce però il contenuto delle parole di Craxi: tanto è vero che la questione si ripresenta ciclicamente, e chi si è presentato al popolo dichiarando di non volere soldi pubblici poi li ha presi o peggio ancora si è messo nelle mani di ambigui pupari. Infine la considerazione più scontata ma non meno importante: nei lavacri rivoluzionari o pseudo-rivoluzionari l’eccesso diventa la regola. Craxi riceve un ex compagno che si è salvato confessando tutto. Ma non il vero. Si è limitato a confermare i nomi tirati fuori dai giudici. Colpevoli, innocenti. Tutti quanti in prigione. Pazienza se qualche vita ne esce distrutta… L’ingresso in politica di Antonio di Pietro, mai nominato nel film, rende tutto quanto ancora meno chiaro.

Infine il film ci chiede di interrogarci su cosa sia il nuovo in politica. Craxi, almeno il Craxi del film, sembra conservare qualcosa dello spirito ribelle del ragazzino che, nella scena iniziale, prende a sassate le finestre della scuola. Craxi ha infranto le regole di quel Paese imbalsamato che poi l’ha lasciato al suo destino di capro espiatorio? Pare di capire che la risposta sia affermativa.

PS Raramente al cinema italiano si è vista una interpretazione come quella di Favino, perfetto nella voce e nelle pose. È più basso di Craxi, come qualche inquadratura infelice rivela, ma l’unica cosa che non poteva fare era crescere di 20 centimetri. Il resto l’ha fatto.

Alessandro Gnocchi, 14 gennaio 2020

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