I 3 misteri di Conte

15k 23
generica_porro_1200_5

Stia sereno Giuseppe Conte: gli storici parleranno sicuramente di lui. E non solo perché tutti i presidenti del Consiglio a lui precedenti, da Cavour in poi, un posticino nei libri di storia lo hanno conservato, ma anche perché per capire questi nostri anni lo studioso futuro non potrà non riflettere sul come e il perché un professore e avvocato di non prima fila, senza mai essere passato per un voto popolare, senza particolari competenze o meriti tecnici, senza una visione ideale o cultura politica definita (anzi adattabile alle circostanze), sia potuto arrivare a guidare il Paese. Trovandosi anche ad affrontare, con armi impari, una delle più gravi crisi che potessero capitarci.

In particolare, i punti che saranno messi sotto il riflettore sono quelli che ruotano attorno ad alcune domande di fondo: come si sia potuta creare una bolla mediatica (giornali e tv in primis) attorno a un leader inesistente, facendogli assumere le sembianze di uno statista a tutto tondo? Come è potuto accadere che quello che passava per il partito dell’estblishment, l’erede dei grandi partiti storici della Prima Repubblica, abbia individuato in lui addirittura l’architrave di un futuro e solido fronte progressista? Per quale recondito motivo palesi strappi alla Carta, alle prassi e allo spirito istituzionale, nonché alla normale dialettica politico-parlamentare, non abbiano destato un minimo di proteste o almeno di dubbi, neanche fra coloro che si erano detti fino a poco prima preoccupati dall’“uomo solo al comando” e che in ogni occasione avevano indossato i comodi e redditizi panni di “vestitali ella Costituzione più bella del mondo”?

Che una inspiegabile congiunzione astrale abbia potuto favorire una volta, e anzi due, Conte, non significa però che egli oggi possa oggettivamente aspirare a molto di più. E che la sua parabola sia destinata gradualmente ad esaurirsi e a consegnarsi inesorabilmente alla polvere degli scaffali (e alla connessa “critica roditrice dei topi”) sta ormai emergendo, a mio avviso, con estrema chiarezza giorno dopo giorno. Avuta la fortuna ulteriore di essere investito di un ruolo comunque di visibilità dal Garante e fondatore dei Cinque Stelle, che comunque era implicito che ne sarebbe restato il capo effettivo, ha osato prima “prenderlo per i c.” (come senza eufemismi ha detto lo stesso) e sottrargli la sua creatura e poi, in una sorta di hybris narcisistica, ha maturato addirittura l’idea di sfidarlo e togliergli uomini e mezzi per un velleitario “partito personale”.

Per farlo, su suggerimento del suo ex guardasigilli Alfonso Bonafede da Mazara del Vallo e di un Marco Travaglio elevato a ideologo di riferimento, ha fatto leva sui più irrazionali e primordiali istinti giustizialisti che erano stati alla base delle fortune del movimento in un’altra e ormai “preistorica” stagione politica, per fortuna tramontata. Si è così trasformato da uomo delle istituzione in barricadero sostanzialmente antidraghiano, unico caso di avvocato (come ha perfidamente osservato Massimiliano Panarari) favorevole a quella non prescrizione dei reati che tanto piace agli inquirenti più politicizzati. Fino ad essere sconfessato da quel Draghi, contro cui in ultima istanza le sue manovre di questi giorni erano dirette, che ha preso direttamente accordi con Beppe Grillo e che ha machiavellicamente fatto sì che alla sconfitta si unisse anche l’umiliazione politica del nostro.

Ogni spazio politico sembra ormai chiuso per il mai diventato capo politico del Movimento, che da garante con l’Europa (che in verità ha sempre diffidato di lui) si ritrova ora sullo stesso fronte bohémien di un Di Battista. Forse dobbiamo aspettare di ritrovarcelo anche lui in perenne viaggio fra le Indie e l’America Latina?

Corrado Ocone, 11 luglio 2021

Ti è piaciuto questo articolo? Leggi anche

Seguici sui nostri canali
Exit mobile version