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I dazi di Trump? Sono sbagliati

La pasticceria Mastai è forse la migliore di Chiavenna. A due passi dal confine con la Svizzera, un punto di riferimento per chi scende o sale per l’Engadina, dunque Saint Moritz, Silvaplana, Celerina e la Punt. Ci passa gran parte dell’imprenditoria che conta, da Cairo, editore Rcs, a Remo Ruffini, geniale inventore di Moncler, da Patrizio Bertelli, numero uno di Prada, a Marco Tronchetti Provera.

È una di quelle perle dalla provincia. Ha la fortuna di stare sulla strada giusta. Ma si industria come se il suo futuro non fosse mai scritto. Spesso nei party che contano in Engadina, i dolci, i pasticcini sono made by Mastai, made in Chiavenna, made in Italy.

La Svizzera non è nella Ue. E ti fa pagare, applica i dazi. I singoli non possono sconfinare con più di qualche litro di olio e vino, e con pochi etti di carne (compresi insaccati). È tutto scritto, come solo gli svizzeri sanno fare, nelle regole doganali che si possono liberamente scaricare. I nostri vicini di casa, ci permettono di portare in montagna dosi massicce di pesce, ma carne no. Hanno le loro mucche, la vendono cara e non vogliono che gli italiani si portino le provviste da casa.

E dunque anche Mastai, deve pagare sui suoi pasticcini. Sono talmente buoni che i super vip dell’Engadina non rinunciano ai cannoli, anche se li debbono pagare quasi il doppio, nonostante siano prodotti a mezzora di distanza. I confini contano e i dazi sono spietati.

Il ristorante Da Domenico si trova invece a due passi dal Colosseo a Roma. Un posto per intenditori. Un locale relativamente piccolo, condotto dalla famiglia dell’Imprenditore. Una mensa informale per i vertici Confartigianato, che lì a due passi ha la sua sede, e che di cose buone fatte grazie ai nostri mestieri se ne intende. Il proprietario e factotum, un mago della cucina, sceglie pochi ingredienti, ma come se fossero la sua vita. Suo fratello qualche anno fa si è trasferito a Hong Kong. Tre volte a settimana, da Roma parte un camion pieno di verdura (gli straordinari carciofi e broccoli), ma anche carne e pesce. E ovviamente vino e olio. Il camioncino arriva a Fiumicino e per via aerea vola direttamente nel ristorante a Hong Kong. Che è diventato celebre e ricercatissimo dai ricchi della zona. D’altronde ogni chilo di mercanzia italiana, oltre ai costi di trasporto espresso, paga pesanti dazi. Un carciofo alla romana vi costa in Cina come un filetto al sangue.

Insomma due piccole, grandi storie, per dire che nel mondo i dazi esistono. Eccome. Alcuni espliciti. Altri più subdoli. In genere applicati dai Paesi più «avanzati» che si vergognano di tariffe sulle importazioni e cercano di bloccarle per motivi più nobili. Provate a chiedere alla ditta Ferrarini come fa a produrre insaccati da vendere negli Usa. È una sorta di gioco dell’oca, pieno di ostacoli e costi giustificati da protezioni definite sanitarie, ma sostanzialmente protezionistiche.

In questo contesto si devono leggere le nuove misure applicate da Trump ad acciaio, alluminio e altri prodotti cinesi. Anche un liberalista deve adottare un punto di vista pragmatico. Ma non dimenticarsi, con Einaudi e con Bastiat, che in un mondo dove non passano le merci, prima o poi passano le armi. Insomma negli ultimi decenni la ricchezza globale è cresciuta in modo esponenziale, grazie alla libertà dei commerci. Questa libertà ha cambiato le industrie, ha fatto male ad alcuni, ha beneficiato altri.

Pensare di tornare indietro è folle. Va messo sullo stesso piano di coloro che ci chiedono di non usare troppo acqua per la doccia, mentre sorseggiano una Sanpellegrino. O si occupano delle emissioni di Co2, dopo essere atterrati col proprio volo privato a Samaden, in lista per il fervorino a Davos.

I dazi di Trump sono sbagliati. La protezione dal dumping non lo è. Le tariffe hanno però una grande forza mediatica. Indicano i beneficiari della mossa di politica economica e nascondono gli sconfitti. Avere merci cinesi a basso prezzo, quanto aiuta i consumatori? E quelle industrie che li utilizzano all’interno del proprio processo produttivo?

È una buona idea quella di comprarsi una Tesla elettrica made in Silicon valley. Inquiniamo meno, anche se dobbiamo avere un bel conto in banca per comprarla. Ma il ferro per farla ci dovrà costare di più per produrla, visto che sarà sfornato solo da acciaierie domestiche. E le sue batterie? Le facciamo forse in Wisconsin? Così come i chip dove li produciamo? Tutto perfetto. Rendiamo la macchina pulita un po’ più cara, decisamente più cara, di modo che ancora in meno potranno permettersela. E per gli altri? Beh solo made in Usa: sarà un po’ più caro anche per loro. Ma volete mettere la soddisfazione. E soprattutto avremo protetto l’industria a stelle e strisce dell’acciaio americano. Tutto fila e gira per il verso giusto.

Mi chiedo e vi chiedo, dove fermiamo questo processo di chiusura? A quali beni? E gli altri nel frattempo che faranno? Staranno lì a farsi «daziare» o costruiranno le loro difese? La globalizzazione più che ingiustizie ha prodotto cambi radicali di potere economico. Si possono gestire. Ma pensare che lo faccia un solo Paese in modo unilaterale è da matti. 

Nicola Porro, Il Giornale 24 marzo 2018

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