Cultura, tv e spettacoli

I Maneskin si sciolgono: non sono mai esistiti

Il gruppo sembra ormai essere ai titoli di coda. Progetti da solisti per Victoria e Damiano

Alla faccia di chi ci vuole male, e di chi gli vuole bene, i Maneskini, avoja addì, si sciolgono: ma davero davero, eh! Progetti solisti per Victoria con la C, la bassista e per Damiano senza la C (sta per carisma), il ragazzone fluidone tenerone. “Coi produttori di grido”, tanto per far capire anche ai tonti che questa è una mera proiezione monetaria, fare soldi per fare soldi per fregare I gonzi. Il singolino in uscita della Victorina si chiama, tradotto in italiano, qualcosa tipo “muovi quel culo troia aah”: una roba pedestre, come sempre, la solita sgangherata evocazione di tutt’altri artisti in tutt’altre stagioni.

Perché se una roba del genere la fa, mettiamo, Iggy Pop, ha un senso anche storico, se la fanno questi… Il Damiano si vedrà. Ma col produttore internazionale. E che dicevamo noi? Non esistendo, non potevano durare: tutto concepito in provetta, e a scadenza: li metti lì, li fai spacciare dal ragionier Agnelli, gli fai vincere un par di festival fluidi, gli carichi addosso una barca di soldi con cui pagare i testimonial più impensabili, dallo stesso Iggy (che per concedere una sua vecchia hit ha preteso una cifra vergognosa) a Mick Jagger e qui, perdonate, fatemi fare il fact checker della situescion, lo so che ormai è merce avariata dopo le imbarazzose ammissioni del committente, Zuck, ma non resisto: Jagger ebbe a dire che “I Maneskin sono la rock band oggi più importante del mondo”, o qualcosa del genere? Fuori contesto! Era, in realtà, il solito cinismo di quella vecchia puttana di Mick, che quando vuol disprezzare qualcuno gli fa complimenti esagerati: pochi mesi dopo, tra gli emergenti preferiti neanche si sognava di ricordare i Maneskini e quanto agli altri, evito qui di riferire I commenti di Keith Richards e Ron Wood dopo la foto promozionale.

Soldi soldi soldi, eccetera: com’è che faceva la canzoncina, quella sì un capolavoro al confronto? E questi si disciolgono, senza mai essere stati veri, però, ecco una nuova frontiera del business musicale, per subito ricoagularsi: tacendo degli altri due cartonati, di cui nulla si sa perché inesistono peggio dei soliti due in spolvero, la macchina promozionale ha inventato davvero qualcosa di surreale: lo scioglimento resiliente, questi che vanno ciascuno per la sua strada, suddividendosi sponsor e griffe, però son già pronti a tornare al prossimo Sanremo di Carlo Conti, come “superospiti”, dal che si ha conferma che anche il prossimo Festivalfluid sarà la solita miseria subartistica, che da AmaCiuri a Conti non c’è frattura ma solo continuità di regime.

Stiamo a parlà der nulla: ce ‘o so, ma la tendenza è indicativa e pur va registrata. Un tempo, non lontano, i gruppi duravano e poi, sì, magari esplodevano per le ragioni più varie: deriva fisiologica, usura, esaurimento psicologico, da droghe o di creatività musicale, conflitti artistici, contrasti, guerre di ego. Rarissimi i casi di successi individuali, prima o dopo le schegge si ricomponevano e così si assisteva, si assiste, a più o meno patetiche reunion come sempre all’insegna del fare soldi per fare soldi. Però ci voleva il tempo che ci voleva: ultimo caso, fresco di giornata, gli Oasis, questa insopporabile band derivativa con quei due fratelli petulanti, peggio ancora dei Black Crows, praticamente delle Spice Girls con l’ombrello: non se li filava più nessuno da anni, I dischetti solisti morti a nascere, e voilà ecco la sospirata reunion, coi concerti dell’anno a venire.

Ci volevano dei tempi fisiologici e trovare una qualche parvenza, un pretesto, del tipo “abbiamo fatto pace, siamo maturati, abbiamo delle cose da dire ancora”, cazzate del genere. Coi Maneskini no. Loro non erano un gruppo, si dividono come case di moda e pubblicità comandano, però allo stesso tempo rimangono coesi, insomma si ritrovano in tempo per l’ospitata o la prossima vaccata sonora. Così, senza vergogna, senza ragione, senza logica, senza por tempo in mezzo. Non sono artisti, sono influencer che vivono nel non tempo del qui ed ora. Non sono artisti perché non ne hanno attitudine e complessità storica e culturale: oggi, per dire, si ciancia tanto di intersex, di multisex, ma all’inizio degli Ottanta, se non prima, Ivan Cattaneo aveva escogitato il Polisex e Cattaneo proveniva dall’avanguardia musicale milanese, da certo sperimentalismo avventuroso, e le sue mise en scene erano frutto di una consapevolezza stratificata e non casuale.

Si scomoda sempre Renato Zero in questi casi, ma Renato a sua volta saliva da una stagione musicale inestimabile, che aveva assimilato a dovere e, circondato da musicisti e arrangiatori di livello eccelso, sapeva servirsene nel gioco del citazionismo creativo; le sue apparizioni iconografiche, inoltre, tutto erano fuorché improvvisate: tenevano conto della pop art come del teatro, delle avanguardie figurative novecentesche, un caleidoscopio di suggestioni concentrato nel frullatore di una inesausta creatività personale, artigianale e geniale. Questi, dove cazzo vogliono andare? Difatti non vanno: restano, anche quando sembra il contrario. Ma sono spaventapasseri, sono miraggi, fantasmi e i fantasmi possono farlo, possono esserci senza essere, pallide lenzuola di succedanei di raso sventolate da case di moda, da multinazionali telefoniche, dal genderismo lobbistico, tutto fuorché una consistenza artistica.

Sì, in fondo è questa la loro fortuna e la nostra dannazione: i Maneskini non possono lasciarci mai, perché non esistono. Sono incubi, per le orecchie, per gli occhi, per la mente.

Max Del Papa, 29 agosto 2024

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