Il Bisconte manettaro

8.8k 9
generica_porro_1200_5

Tasse e manette sono diventate per Giuseppe Conte l’assicurazione sulla sua terza vita politica, visto che ormai il Quirinale e parte di Pd e M5Stelle stanno prendendo le distanze da lui. Il professore, ispirato dal suo influencer di fiducia, Rocco Casalino, ha già scritto la tesi complottista: mi vogliono mandare via perché sono il primo a volere davvero tutti gli evasori in galera, grandi o piccoli che siano. Il nostro camaleontico premier, abbandonate in tutta fretta le vesti di Avvocato e di Pubblico Ministero degli italiani, intende ora presentarsi al popolo con il nuovo volto di vittima del sistema, puntando a raccogliere i voti di protesta e dei “rosiconi”. Un novello Robin Hood in pochette.

È surreale che il dibattito sull’economia sia esclusivamente incentrato sull’evasione fiscale, che seppur importante non è la causa di tutti i mali. Ma invece di dirci dove andrà il Paese nei prossimi anni, si disquisisce di scontrini, forse proprio per nascondere la mancanza, nella nuova manovra finanziaria, di misure che rilancino la crescita. Tra l’altro, le entrate di cassa che si prevedono di recuperare dalla lotta all’evasione – e, come tali, aleatorie – non potrebbero essere stanziate a bilancio per finanziare uscite che, invece, sono certe, come ricordava sempre il Ragioniere generale dello Stato Gaetano Stammati al Ministro del Tesoro dell’epoca, Emilio Colombo. Dunque, il Governo parla del nulla. Ed è comprensibile, visto che al Mef c’è un filosofo, che quindi fa filosofia. Felice di aver tirato fuori, da ultimo, tre miliardi dal cilindro. Come? Posticipando di qualche mese, da fine 2019 ai primi del 2020, i versamenti delle imposte delle partite Iva, così da spenderli quando più ne ha bisogno.

Una manovra incolore come questa avrebbe potuto farla benissimo un governo in carica per gli affari correnti in attesa del voto. Il rischio di esercizio provvisorio era una scusa. Bloccare l’aumento dell’Iva in deficit non richiedeva un grande acume politico, né servivano particolari maggioranze per confermare reddito di cittadinanza e quota 100. Perfino un grillino come Luigi Di Maio è diventato garantista rispetto a Conte. Mentre il glorioso Pd, udite udite, rischia di saldarsi con l’ala ortodossa del Movimento 5 Stelle di Roberto Fico. Andando al voto, avremmo avuto maggiore stabilità e ci saremmo risparmiato l’aumento della pressione fiscale al 42,7%. La prima manifestazione di quella che al governo definiscono “ricchezza” e che, come tale, deve essere tassata, è la casa. Ma poiché è brutto parlare esplicitamente di “patrimoniale”, hanno pensato di triplicare, da 50 a 150 euro, le imposte ipotecarie e catastali sui trasferimenti.

Ha del paradossale anche la dichiarata guerra al contante quando pure il Premier dovrebbe sapere che perfino i suoi colleghi avvocati sono costretti, soprattutto al Sud, a pagare cash nelle Cancellerie dei Tribunali le spese di giustizia.

Tra “cash back” ed estrazioni degli scontrini, il Paese si trasformerà in una grande “Lotteria Italia”. Nemmeno a due habitué di programmi TV e quiz a premi, come La Ruota della Fortuna dei due Mattei, Renzi e Salvini, erano mai venute idee così bizzarre. Tanto più che, se è vero che la restituzione del 10% delle spese pagate con carta di credito avverrà con il “bonus Befana”, la tempistica è perfetta. Tutto questo pasticcio è stato fatto in una notte, dopo che per giorni Conte si faceva scorrazzare dagli aerei dei servizi di sicurezza lontano da Palazzo Chigi. In altri tempi, i giorni che precedevano la finanziaria erano dedicati a continui incontri con le parti sociali, i sindacati, gli industriali e gli enti locali, e si metteva a punto un testo da sottoporre al Consiglio dei Ministri.

Quando Andrea Monorchio era Ragioniere generale dello Stato, la sua presenza nell’anticamera era obbligatoria. I ministri uscivano e verificavano con lui la fattibilità delle varie richieste. Ogni volta, il Ragioniere tirava fuori il suo taccuino, lo compulsava, faceva i conti e poi dava il vaticinio. Se era positivo, indicava a quale capitolo imputare la spesa e come inserirla nel quadro complessivo. Era questa la famigerata Prima Repubblica. Godetevi ora questa, seconda o terza che sia.

Luigi Bisignani, Il Tempo 20 ottobre 2019

Ti è piaciuto questo articolo? Leggi anche

Seguici sui nostri canali
Exit mobile version