Il centrodestra vuole più regime

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Solo in Italia l’opposizione, o almeno una sua parte (per non fare nomi, la Lega) chiede non meno, ma più regime. Come se nel 1948 i comunisti si lamentassero perché il ministro dell’interno Scelba non era abbastanza repressivo. In Francia neo gollisti e lepenisti criticano il confinement, così pure lo pseudo lockdown tedesco è oggetto di strali dei Liberali, dei Verdi e dell’Afd. In Spagna le Regioni governate da popolari e Vox (e diciamo governate, quello è uno Stato federale, diversamente dal nostro) cercano di mitigare i lucchetti social-comunisti di Sanchez e di Iglesias, fino all’epocale scontro di qualche settimana fa tra la Regione di Madrid, a guida popolari, e il governo centrale. Solo in un caso l’opposizione chiede al governo di essere più rigido in fatto di chiusura: nel Regno Unito, dove BoJo è costretto a essere liberale da una battagliera minoranza conservatrice lockdown-scettica, e invece i laburisti, senza Corbyn, ma pur sempre di estrema sinistra, vogliono più segregazione.

Proprio come Zaia, Fedriga, Fontana, che hanno di fatto stretto un accordo, come scrive Adalberto Signore sul Giornale di ieri, con l’ala dura del governo Conte, quella più collettivista, di Speranza, Boccia e Franceschini per chiudere il più possibile. Come nota giustamente Signore, il fatto che ad appoggiare i segregazionisti fossero regioni importanti a guida della “opposizione” (e qui le virgolette sono d’obbligo) ha messo in difficoltà Conte e Renzi, che invece incarnano una sensibilità più liberale, attentata alle imprese e ai commercianti, oltre che alle libertà individuali.

Peccato che Zaia, Fontana, Fedriga non siano corbynisti ma leghisti, cioè una formazione politica che, pur essendosi proclamata né di destra né di sinistra, è sempre stata attenta alle ragioni dei produttori, più che a quelle degli impiegati pubblici e dei sindacati, che invece il lockdown adorano. Un partito, la Lega, che mesi fa aveva rilanciato la formula della “rivoluzione liberale”, in genere malaugurante, e anche stavolta, visto che essa si è concretizzata, da parte dei presupposti “rivoluzionari liberali”, in una chiusura forzata e persino nella richiesta di divieto di uscita di casa per giorni e giorni.

Ora è vero che pare Salvini avesse riunito ore prima i governatori leghisti raccomandando una linea aperturista, ma sta di fatto che essi hanno aiutato il governo e la sinistra collettivista a incarcerarci a Natale: e in politica ciò che conta non sono le intenzioni ma i fatti.

Non pago, Zaia ha deciso di anticipare e di irrigidire le misure, vietando già dal 19 dicembre di uscire dal proprio comune. Politicamente un altro regalo all’ala collettivista dei Speranza e dei Boccia (il quale non a caso si è subito detto entusiasta di Zaia) che, nel Consiglio dei ministri previsto per oggi pomeriggio, useranno sicuramente il “modello Zaia” per chiedere ulteriori restrizioni, come hanno usato giorni prima il “modello Merkel” e il pronunciamento delle regioni della “opposizione”.

Abbiamo un problema, Houston. Non è che il vero ideologo della Lega, vecchia o nuova poco importa, è rimasto il deputato Luca Leoni Orsenigo, che nel 1992 agitò un bel cappio in parlamento? Cioè non è che il giustizialismo manettaro (poco importa se contri i “ladri” o contro gli “untori”) è l’unico punto fermo, di una cultura politica invece sempre piuttosto pragmatica e scarsamente identitaria? Il cappio di Orsenigo doveva impiccare Bettino Craxi, uno statista che portò l’Italia a essere settima potenza. La sua eliminazione anche grazie ai Leghisti, ci ha consegnato ai Giggino, ai Casalino, agli Speranza e ai Boccia. Errare è umano, perseverare è diabolico.

Marco Gervasoni, 18 dicembre 2020

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