I deliri dell’antirazzismo chic

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All’armi, tutti in piazza, con striscioni e tamburi. Presto, mandiamo Concita sulla stampa a difendere la «libreria antifascista». Sul selciato, davanti alla saracinesca bruciata della Pecora elettrica, libreria del quartiere romano di Centocelle, anche il nuovo partigiano, il ministro Franceschini. Peccato che, come già scrivevano a caldo alcuni giornali, la pista «fascista» non fosse certa, e infatti oggi gli investigatori sono sulle tracce di un maghrebino.

Duecento insulti antisemiti al giorno. Una marea, roba da Germania nazista. Passano pochi giorni e si scopre, a una semplice verifica, che sono duecento all’anno. Sempre grave, ma insomma…

C’è una pericolosa bestia nera che si aggira per Ferrara. Si tratta di Rommel, il cane del portavoce del sindaco leghista. A cui la sinistra locale, che ancora non si è ripresa dalla sbornia della sconfitta, ha deciso di muover guerra, persino con un deputato. Qual’è la colpa del cane? Di chiamarsi appunto Rommel, quindi certamente nazista, come colui che l’ha battezzato, il portavoce del sindaco e, ovviamente, per relazione, lo stesso primo cittadino. Peccato che il grande generale Rommel, sospettato di aver partecipato al tentato omicidio di Hitler nel 1944, e per questo suicidatosi, non sia esattamente una delle figure del Pantheon nazista. E poi, la guerra politica a un cane…

Tre casi recenti di black out mental-politico della sinistra, a cominciare dal Pd. Ma tre casi accomunati da un unico tema: l’anti-razzismo. Quasi del tutto disinteressati alle sorti dei lavoratori (a meno che non siano tesserati dei loro sindacati, e anche quello…) il Pd e la sinistra sono diventati da tempo il sindacato delle minoranze (lgbt, immigrati ecc) e si mobilitano solo in nome dell’antirazzismo.

Ovviamente qui nessuno giustifica il razzismo. Che, però, non esiste più: quella che si vede, anche se non con la gravità e la frequenza strillata dai fogli sinistrorsi, è da definire xenofobia, paura e disprezzo dello straniero. Nessuno, neppure quelli di Forza nuova, parlano più di razza superiore o inferiore. Mentre quello contro gli ebrei è un genere a parte, è antisemitismo: v’è quello di matrice nazista, ma oggi il più evidente è di matrice islamista (quindi, con motivazioni religiose) e politica (l’ostilità a Israele). Solo che razzismo suona bene, e mettere tutto nel calderone serve meglio alla propaganda.

Proprio perché combattere la xenofobia dovrebbe essere un programma di tutti, è sbagliatissimo che una parte se ne appropri, facendone quasi unico strumento di lotta politica. Non è la sinistra che ha il monopolio della battaglia contro la xenofobia. Anche perché bisogna vedere poi chi la combatte veramente: non si produce più xenofobia facendo entrare senza controllo migliaia di immigrati per poi lasciarli vagare per le città? O non si genera xenofobia dicendo a cittadini che si lamentano del degrado e dello spaccio sotto casa, spesso, anche se non sempre, condotto da criminali stranieri, che sono tutte percezioni? E non si instilla xenofobia scrivendo regolamenti che istituiscono la precedenza delle case popolari a immigrati, salvo accorgersi solo dopo di non essere in regola e addirittura clandestini, e essere quasi impossibilitati a sfrattarli?

Abbiamo un esempio concreto e storico di cosa comporta quello che il grande scrittore Richard Millet chiama «l’antirazzismo come terrore» (e che per aver scritto questo fu cacciato da Gallimard, dove era editor stimato e di successo). In Francia negli anni Ottanta, quando la deleteria politica del presidente socialista Mitterrand aprì le porte agli immigrati, per mettere in difficoltà la destra neogollista di Chirac, l’Eliseo si inventò Sos racisme. Cioè diede forza a una organizzazione il cui unico obiettivo doveva essere la battaglia contro il razzismo. Sos racisme si impadronì del Partito socialista, di molte redazioni dei giornali, dei sindacati universitari, con una propaganda martellante fondata sulla denigrazione moralistica del francese «bianco», sempre razzista, mentre tutti gli immigrati e i figli di immigrati (si intende però, neri) dovevano essere difesi.

Risultato: Jean Marie Le Pen schizzò al quarto posto nelle presidenziali del 1988 e da quel momento non avrebbe fato che crescere. Mentre il Partito socialista non sarebbe più uscito dalla sua crisi per finire, oggi, al 4% dei voti. In compenso, oggi, a Parigi ciò che resta della sinistra organizza manifestazioni contro la «islamofobia» in cui si grida «Allah è grande» e, parole dell’ex ministro dell’interno di Macron, la Francia è a un passo dalla «implosione civile»

Vogliamo fare la stessa fine?

Marco Gervasoni, 12 novembre 2019

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