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Il delirio di onnipotenza di Conte

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Nel mezzo di una crisi sanitaria trasformata in una crisi politico-istituzionale, il presidente del Consiglio appare in televisione sul far della sera e dice ai Tele-Italiani che ora, stando reclusi nelle loro case, avranno modo di riflettere sul loro stile di vita e potranno trarne un grande insegnamento. Insomma, potranno sentirsi in colpa. Mentre il capo del governo parla come un cattivo filosofo, il capo della Protezione civile ha già annunciato ai Tele-Italiani che in giornata ci sono stati quasi 800 morti per poi aggiungere altri numeri sui contagi (ma si sa, come ammesso dallo stesso Borrelli, che i dati sono poco attendibili, cioè non veritieri, praticamente falsi).

Sia il presidente del Consiglio sia il capo della Protezione civile – e magari anche il ministro della Salute, scomparso – non sanno alla lettera cosa dicono e se lo sanno è anche peggio. Il loro compito preciso, infatti, non è né la lezione di vita né la veglia funebre ma la spiegazione dei concreti atti di governo per fronteggiare la crisi sanitaria riportandola in una situazione di normalità; illustrare il metodo usato per far calare contagi e morti; chiarire l’efficacia del protocollo clinico; incentivare in tempi rapidi l’arrivo di mezzi e strumenti come mascherine, ventilatori, letti. L’Italia è un paese allo sbando (non solo politicamente). La distopia è servita.

Lo stato di emergenza è stato dichiarato il 31 gennaio. Durerà fino al 31 luglio. Sei mesi. Cosa si è fatto? Prima di tutto il governo ha perso tempo. Poi ha sottovalutato l’emergenza che esso stesso aveva dichiarato. Quindi, dopo aver favorito il contagio, è andato nel panico per la consapevolezza della fragilità del servizio sanitario nazionale e, non avendo avuto né il coraggio né la lucidità di fare scelte mirate con quarantene precise, ha deciso di recludere tutti gli Italiani nelle case trasformandoli in Tele-Italiani che ogni sera ascoltano il bollettino funereo del capo della Protezione civile che non sa operare per difendere la vita civile in cui i governatori regionali sembrano i signori rinascimentali degli Stati regionali dell’Italia del XV secolo, mentre per le strade passano le auto della polizia locale che con il megafono intimano di non uscire di casa.

Quanto durerà questa condizione in cui una nazione intera è agli arresti domiciliari – come finalmente anche qualche professore, sempre loro, inizia a dire, ad esempio Michele Ainis su Repubblica – non si sa. Però, alcune cose le sappiamo: la liquidità per pagare le pensioni, fa sapere il presidente Tridico, c’è fino a maggio. Sappiamo anche che chi solleva la questione della libertà viene indicato come un nemico del popolo. Come se la libertà non fosse carne viva, passione, scelta, difesa della vita, sacrificio, volontà, ragione ma un ciondolo. Allora, se non si riesce a capire che vita e libertà sono la stessa cosa, fate una cosa: mettete da parte i principi e la stessa Costituzione che una volta per i progressisti al governo era la più bella del mondo e ora è carta straccia e considerate solo il tempo. Sì, proprio così, il tempo. Ogni uomo altro non è che tempo. E quando diciamo che il tempo passa diciamo una fesseria perché il tempo resta e chi passa siamo noi, proprio noi. Dunque, stando fermi nelle nostre case quanto tempo abbiamo prima che il tempo ci uccida o trasformi la nostra esistenza in modo così radicale da non riconoscerla più?

Tutti coloro che ritengono che la risposta giusta all’epidemia sia la chiusura totale di tutto – chiusura totale, non chiusura della Lombardia – credono di essere i padroni del tempo e della vita. Credono cioè di avere in mano il tempo e di rendere immune la vita isolandola da sé stessa mentre la vita non si lascia sospendere ed è sempre mortale, anche quando è chiusa in casa. La Costituzione – tutte le costituzioni dei paesi occidentali – serve a neutralizzare il mito della padronanza assoluta della vita con cui un Uomo o un Partito o uno Stato o una Chiesa o una Scienza si può impossessare delle vite altrui privandole della libertà per il loro bene. Per ottenere un’illusione – la vita invulnerabile – si nega un bene assoluto: la vita dignitosa. Proprio coloro che hanno sempre visto in ogni dove pericoli antidemocratici ora se ne infischiano della Costituzione e cercano la salvezza nel bagno di casa. Parigi val bene una messa, ecco qua. E gridano all’untore o al nemico e vogliono la censura e che tutti stiano zitti e ubbidienti e così il buon senso, come ci dice don Lisander, anche se c’è se ne sta nascosto per paura del senso comune.

Siamo dentro un delirio di onnipotenza, ossia una forma di autoinganno, in cui nel tentativo disperato e impossibile di rendere la vita immune non si fa ciò che è possibile fare e che si sarebbe dovuto fare rispettando le garanzie costituzionali: fronteggiare l’emergenza con la stessa libera forza morale della vita per ottenere non l’impossibile sicurezza totale ma la sicurezza minima della vita civile. È una via dolorosa? Certo, ma non è ingannevole. Mentre la situazione presente è tanto dolorosa quanto ingannevole. La condizione morale dell’Italia ha toccato l’Abisso.

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