Il diritto di criticare un governo che sul Coronavirus ha sbagliato tutto

15.5k 84
generica_porro_1-1200

Non c’è dubbio, siamo dentro un’emergenza, e il tunnel appare ancora molto lungo da percorrere. L’ha detto meglio di tutti Boris Johnson, con virtuosismo da titolista: “It will get worse before it gets better”. Andrà peggio prima di migliorare, sarà una “long battle”.

Tutto vero, e, per tornare dentro i nostri confini, è anche naturale che scenda il tono della polemica politica: sarebbe sempre meno comprensibile per i cittadini, che in questo momento – da chiunque – non vogliono solo la descrizione dei problemi, ma qualche contributo concreto alle soluzioni, o almeno alla riduzione del danno.

Giusto, eppure tre osservazioni non possono essere taciute.

1. Ciò che distingue le democrazie dalle dittature è proprio il fatto che si sia uniti attraverso la discussione, attraverso un dibattito pubblico teso e vibrante, non attraverso il silenzio e l’unanimismo imposto. Non dispiaccia agli amanti di Giorgio Gaber: ma il punto non è la “partecipazione”. La chiave è piuttosto il “controllo”: il fatto che non cessi mai lo scrutinio critico nei confronti di chi governa. Giusto collaborare, ma nella chiarezza delle responsabilità.

2. Ciò è a maggior ragione vero davanti a un governo che le ha sbagliate quasi tutte. È riuscito nel “capolavoro” mediatico di farci passare per untori mondiali. Ha avuto un approccio ondivago all’emergenza e alla comunicazione: un mese di surreale dibattito sul razzismo (con tanto di spot del Ministero della Salute, con un noto testimonial armato di bacchette da cucina cinese, e pronto a spiegare che “il contagio non è affatto facile”); poi le frenetiche presenze tv di Giuseppe Conte; quindi un’improvvisa e artificiale settimana di ottimismo; e infine il clima cupo in cui siamo purtroppo – temo assai motivatamente – immersi da dieci giorni. Questo governo ha detto no, irridendole, alle proposte di isolamento generalizzato di chi veniva dalla Cina. Può darsi che non sarebbe stata una misura risolutiva, o che non fosse materialmente possibile tracciare decine di migliaia di persone: ma occorreva spiegarlo, non urlare “sciacalli!” o tentare maldestramente di buttare la croce addosso al personale sanitario di Lodi e Codogno.

3. Si dice che la storia non si fa con i “se”. Vero. Ma è necessario esaminare lucidamente le conseguenze delle scelte politiche e istituzionali che vengono compiute nei momenti delicati. Dopo la crisi del governo gialloverde, nell’estate 2019, c’era la possibilità di votare a settembre. Del resto, tra settembre e dicembre, hanno votato molti paesi: Austria, Polonia, Spagna, Regno Unito. Con ruolo decisivo del Quirinale, si è purtroppo scelta un’altra strada, sia pure formalmente legittima: quella di affidarsi alla sola aritmetica parlamentare, sconnessa dalla maggioranza reale esistente nel paese, e di avallare un governo senza forza e senza piena autorevolezza. In tempi ordinari, sarebbe stata solo una decisione discutibile. Ma in tempi di crisi, la mancanza di legittimazione popolare di un esecutivo pesa maledettamente. Indipendentemente dalle convinzioni politiche di ognuno, tutti comprendiamo quanto sarebbe stato importante avere oggi un governo con un chiaro e forte mandato popolare.

Daniele Capezzone, 9 marzo 2020

Ti è piaciuto questo articolo? Leggi anche

Seguici sui nostri canali
Exit mobile version