Il giallo dei missili israeliani in Siria

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Questa mattina all’alba intorno alle 03:00 ora italiana, l’aeronautica militare israeliana ha bombardato e distrutto un deposito di missili che gli iraniani avevano approntato vicino al confine tra Siria e Israele, nella zona di Kuneitra sulla parte siriana delle Alture del Golan, a ridosso del confine con Israele. Il deposito era gestito da membri della milizia Hezbollah supervisionati da ufficiali dei Pasdaran iraniani. Israele, come al solito, non smentisce e non conferma, ma la dinamica dell’attacco, la sua precisione millimetrica e la potenza usata, sono ormai diventati il marchio di fabbrica di questa guerra preventiva che da mesi le forza armate israeliane stanno conducendo al fine di limitare il numero dei missili terra terra a medio e a lungo raggio nelle mani degli iraniani e dei suoi alleati, in previsione di uno scontro aperto che, secondo i vari osservatori internazionali, è sempre più probabile e in tempi brevi.

Anche perché come riportato in passato da Fox News, che citò funzionari occidentali, l’Iran ha usato compagnie aeree civili per contrabbandare armi al gruppo terroristico libanese Hezbollah, metodo questo che Israele aveva denunciato nel 2016, per mezzo di una lettera inviata dal suo ambasciatore Danny Danon ai membri del Consiglio di Sicurezza. È bene ricordare che finirono sotto inchiesta due voli irregolari effettuati della Qeshm Fars Air da Teheran a Beirut il 9 luglio 2018 con un Boeing 747 che fece scalo a Damasco in Siria, e un secondo volo del 4 agosto 2018 che collegò Teheran a Beirut seguendo una rotta irregolare a nord della Siria.

A gettare benzina sul fuoco di una situazione sempre più in bilico ci ha pensato Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah che, rinforzato dagli aiuti di cui sopra, pochi giorni fa durante un discorso alle sue truppe ha fatto dichiarazioni di fuoco e ha dato ordine di ammassare quanti più guerriglieri lungo il confine fra Libano e Israele. Anche Hamas da Gaza ha fatto la sua parte, in questa cronaca di una guerra annunciata, nel far trapelare alla stampa internazionale di avere stoccati oltre cinquemila missili di fabbricazione locale e iraniana, un numero sufficiente per mettere Israele a ferro e fuoco.

La domanda che la gente dovrebbe porsi è: come mai nonostante il blocco della Striscia i missili dall’Iran arrivano e i beni di prima necessità per la popolazione invece no. Misteri Medio Orientali.

La risposta da parte israeliana è stata doppia: militare e politica. Da una parte le Forze Armate, coadiuvate dall’Intelligence che sta svolgendo un lavoro certosino in quel grande caos che è diventata la Siria, continua nell’opera di distruzione degli armamenti, lavoro che comunque non può garantire un azzeramento totale della forza distruttiva in mano agli Sciiti, dall’altra voci di corridoio, ma di quelle a cui si può credere, hanno fatto sapere che il Premier Netanyahu, in un messaggio privato fatto pervenire per vie diplomatiche al Presidente siriano Hassad, gli ha ricordato che sulla linea di confine fra Siria e Israele la calma è garantita solamente da un “cessate il fuoco”, che ha come condizione fondamentale la smilitarizzazione dell’area.

Pertanto Israele vede la presenza di militari o milizie armate, non importa quali è il governo siriano responsabile, come una violazione degli accordi del 1974 aggravata anche dalla mancanza di osservatori internazionali dopo la fuga dei caschi blu dell’ONU nel settembre del 2014. Osservatori che erano rimasti in quella zona per trentacinque anni al fine di garantire il rispetto delle risoluzioni 338 e 339 del Consiglio di sicurezza dell’Onu.

Il messaggio di Netanyahu è chiaro, la pazienza di Israele è ridotta al lumicino e Damasco deve assolutamente prendere provvedimenti prima che la situazione precipiti. Anche perché l’Iran, sempre lei, quella che al momento gioca su più tavoli, e non ha mai nascosto, almeno a parole, di voler incendiare il Medio Oriente e forse non vede l’ora di farlo, sul fronte delle petroliere rapite e del contrabbando di petrolio verso nazioni sotto embargo, si ritrova ora ad avere a che fare non solo con il Presidente USA Trump, ma anche con Boris Johnson, il nuovo Premier Britannico che non ha fama di essere un uomo molto paziente.

Per cui è possibile che dopo il cambio al numero 10 di Downing Street, potrebbe seguire anche il cambio missione e regole di ingaggio che dovranno seguire le navi della Royal Navy in navigazione verso lo stretto di Hormuz.

Michael Sfaradi, 24 luglio 2019

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