Il gioco pericoloso della Nazionale turca

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I giocatori della Nazionale turca stanno facendo un gioco pericoloso e non lo sanno. Confondere calcio e politica è rischioso se, poi, come nel caso turco, la politica è fortemente autoritaria, allora, il gioco diventa addirittura mortale. Gli esempi non mancano nella storia calcistica del Novecento che è un’appendice molto significativa del totalitario “secolo breve”. Ma siccome la storia non insegna nulla, ecco che ci si incammina a rifare gli stessi errori e i giocatori turchi son pronti a mettersi in fuorigioco con le loro stesse mani o, meglio, con i loro piedi.

Nella partita allo stadio di Saint-Denis a Parigi, i giocatori della Nazionale turca, al termine dell’incontro di qualificazione per gli Europei 2020, hanno fatto il saluto militare per sostenere esplicitamente le operazioni militari nel Nord della Siria. Il gesto non è un episodio isolato ed è la replica di quanto avvenuto venerdì scorso: dopo il gol di Cenk Tosun contro l’Albania i calciatori hanno fatto il saluto militare sia in campo sia negli spogliatoi. Così la Nazionale turca, passando dal campo di calcio alla propaganda, ha scritto su Twitter: “I giocatori hanno dedicato la vittoria ai nostri valorosi soldati”. La Nazionale turca è di fatto diventata un’espressione del nazionalismo del regime di Erdogan. A Parigi, prima della partita, durante la conferenza stampa un giornalista ha chiesto a Irfan Can Kahveci: “Cosa pensate della guerra?”. La risposta è stata questa: “Non siamo in guerra, i nostri soldati sono intervenuti per sradicare il terrorismo”. In pratica, è come se Erdogan fosse in campo e il gioco della Nazionale fosse schierato secondo lo schema dell’esercito turco. Se si vince va tutto bene, ma se si perde son dolori.

Il gioco del calcio è per sua natura espressione di libertà. I giocatori in campo non sono i veri sovrani della partita perché ad essere sovrani a tutti è il Gioco. Nessuno è padrone del pallone, proprio come nessuno è padrone della vita e questa indisponibilità del pallone e della vita ad essere padroneggiati in modo totalizzante rende possibile sia la partita di calcio sia la vita civile. Le due regole fondamentali della vita libera sono le due regole dei fondamentali del calcio: controllo e abbandono del pallone. Ecco perché piegare a fini di propaganda politico-militare il gioco di una Nazionale è un errore miope che può ricadere facilmente sui destini dei giocatori che promettono ciò che non hanno e non possono avere: la vittoria. Ma i giocatori, forse, si stanno comportando da soldati solo per evitare di giocare contro Erdogan. Chi l’ha fatto ha pagato il prezzo della libertà con l’esilio.

Hakan Sukur, ex giocatore dell’Inter, non condivide il nazionalismo di Erdogan e non ha fatto nulla per nascondere le sue idee. Risultato? È in California perché in patria non è gradito: “La mia è una lotta per la giustizia, la democrazia, la libertà e la dignità umana – ha scritto anche lui su Twitter -. Non mi importa di quello che posso perdere se a vincere è l’umanità”. L’umanità vince solo se nessuno pensa, come un perfetto cretino, di essere il padrone del pallone. È questo un motivo in più per far disputare la prossima finale di Champions League il 30 maggio a Istambul come da programma. Il ministro italiano dello Sport, Vincenzo Spadafora, ha chiesto all’Uefa di trovare un’altra sede per la finale. Forse, invece, è il caso di disputarla proprio a Istanbul: nulla più di una partita di calcio mostra che solo un cretino può credere di essere il padrone assoluto del pallone, del gioco, della vita.

Giancristiano Desiderio, 15 ottobre 2019

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