Il governo fa ricche le mafie

I ritardi negli aiuti economici a famiglie e imprese spingono i cittadini tra i tentacoli della piovra

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Il governo, dopo aver assistito passivamente alla scarcerazione dei mafiosi, con i ritardi nell’erogare aiuti concreti alle imprese e alle famiglie sta fornendo le materie prime alla criminalità organizzata. Le materie prime sono rappresentate dal malessere sociale e dal pre-fallimento economico delle aziende in cui il business mafioso può attecchire con i suoi servizi di surrogazione dello Stato. La fragilità delle famiglie senza reddito e degli imprenditori nell’imminenza del collasso finanziario li rende vulnerabili al messaggio di assistenza della criminalità, che scaraventa la propria rete di soccorso per reperire opportunità propizie per loschi affari.

Il circuito usuraio è gestito dalla malavita che sfrutta il bisogno di denaro per concedere prestiti con tassi di interesse esorbitanti e chi si affida all’ “aiuto” rimane vittima di una perversione criminale alla quale alcuni, per liberarsi dal debito, sono costretti ad aggregarsi. Se il governo non interviene tempestivamente, con un diretto supporto di liquidità alle aziende, il rischio a breve è di dover censire i decessi aziendali tumulati in un esteso cimitero economico e con molte attività produttive che saranno costrette a mettersi in liquidazione con settori della malavita lesti nel fare incetta di partite Iva. Il governo non può assistere all’impoverimento del panorama economico italiano ridotto ad un grande outlet con le imprese deprezzate e fagocitabili dai gruppi criminali.

Sono inutili i suggestivi inni alla legalità degli esponenti del governo se contestualmente ignorano il mattatoio economico in atto in cui il facile capitale delle cosche può penetrare. Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho in un recente intervento ha dichiarato che “c’è un enorme bisogno di liquidità. Ma i ritardi nella gestione e nell’erogazione dei finanziamenti aprono nuovi spazi e consentono alle mafie di infiltrarsi nel tessuto sano dell’economia”. Il grido di allarme di Cafiero de Raho pare inascoltato dal governo che continua ad emanare provvedimenti inefficaci rispetto alle motivazioni di emanazione come il decreto liquidità sui prestiti fino a 25 mila euro garantiti al 100 per cento da Stato e Confidi.

Finora hanno fatto domanda circa il 2 per cento della platea potenzialmente interessata alla linea di credito che si aggira sui 4 milioni. La percentuale irrisoria delle domande sono conseguenza dell’eccesso di istruttoria e dell’indisponibilità delle banche ad erogare il prestito senza uno scudo giuridico che configurano fattori di dissuasione per le imprese. Il governo ha la disponibilità dei beni sottratti alle mafie che equivalgono all’1,8% del Pil, per un valore complessivo di 32 miliardi, che potrebbe restituire alla collettività nella forma del sostegno diretto alle imprese e alle famiglie più esposte ad essere sedotte ed intrappolate dal sussidio criminogeno. La crisi economica generata dalla pandemia sta provocando un riflusso della produzione e l’onda del benessere alla quale ci eravamo ottimisticamente abbandonati ha subito una brusca interruzione.

La risacca in atto trascina all’indietro tutto ciò che quell’onda eccitava e il governo deve agire diversamente da come ha proceduto finora nella inesorabile divaricazione tra il dire e il fare. Il premier Conte ha confuso l’iniezione di liquidità con l’eccesso di loquacità in versione affabulatoria, ma le parole non sono commestibili e non concedono quel respiro di cui il sistema produttivo ha indilazionabile bisogno per evitare l’asfissia. Il decreto “aprile” ancora non ha visto la luce e per coerenza almeno di calendario, essendo maggio inoltrato, è stato ribattezzato decreto “rilancio”, ma considerando i precedenti provvedimenti non coltiviamo aspettative esuberanti che sarebbero destinate a cocenti delusioni.

Andrea Amata, Il Tempo 10 maggio 2020

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