Il Grande Fratello fiscale è già realtà

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Una recente ricerca della Columbia University ha dimostrato come il popolare social media Facebook, conosca il nostro orientamento sessuale, meglio dei nostri parenti. Sono sufficienti tre «like», cioè tre apprezzamenti dati dalla nostra bacheca, per rendere noto, con ottima approssimazione, a Facebook, se siamo eterosessuali o no. Un’altra ricerca svolta dalle università di Cambridge e Standford è andata ancora più avanti: «Bastano appena 70 like per conoscerci meglio dei nostri amici più stretti e 150 per comprenderci meglio dei nostri genitori. Superati i 300 apprezzamenti, la mente digitale vi può descrivere meglio del vostro partner».

Su Instagram pubblichiamo foto di dove siamo, di cosa compriamo e di cosa apprezziamo, regalando al suo algoritmo informazioni preziosissime. Per non parlare delle nostre ricerche in rete. Ormai gli investitori pubblicitari non cercano più di comprare spazi sugli editori che pubblicano informazioni, notizie o altro su internet. Oggi cercano direttamente voi. Se avete consultato un sito di auto, o di borse, verrete bombardati di pubblicità inerenti ai vostri gusti.

Ciò che vogliamo dire è che la rete e le piattaforme informatiche sanno di noi, ciò che non confessiamo neanche al nostro migliore amico. E il paradosso che tutto ciò lo facciamo, più o meno consapevolmente, ma sempre e comunque volontariamente. Siamo noi che diciamo che un commento su una bacheca ci piace, siamo noi che regaliamo alle piattaforme i nomi dei nostri cantanti preferiti, siamo noi che facciamo le faccine di gioia o di disgusto sul film o sull’attore o sul prodotto che ci viene proposto on line.

La rete sa tutto di noi. E noi non facciamo nulla per nasconderglielo. Le nuove generazioni fanno anche di peggio. Ogni pudore è perso sulla rete.

In questo scenario, sembra veramente ridicolo il comportamento del legislatore che ci vuole obbligare a tracciare tutto. Noi siamo già tracciati. Le nuove generazioni non sapranno cos’è il contante, perché pagano già oggi con il telefonino, con un tap. Le carte di credito si sono aggiornate e lo sanno. Ci sono alcune grandi aziende finanziarie, basti pensare all’italiana Nexi, che permette di scambiarci i soldi in via elettronica con un clic, senza neanche passare per la banca. Una sorta di borsellino elettronico, che può ad esempio essere riempito dai genitori a piacimento: altro che paghetta.

Ciò che vogliamo dire, è che sarebbe sufficiente far fare al mercato. E alle nuove generazioni. Obbligare al Pos, tassare i contanti, introdurre multe è tanto ridicolo, come lo sarebbe stato alla fine degli anni ’90, obbligare gli italiani, pena sanzioni, a comprare un cellulare. Lo avrebbero fatto da soli: bastava aspettare.

Certo Facebook e Google sanno utilizzare bene (e talvolta anche troppo bene) le informazioni che diamo loro, mentre lo Stato è scarsissimo. Ma già oggi, senza alcuna multa, potrebbe sapere tutto di voi. Il nostro codice fiscale è onnipresente. Anzi si potrebbe dire che la nostra vita è un codice fiscale. Non c’è transazione che non passi per esso. Obbligarci a fare di più è, oltre che illiberale, folle.

Ci arriveremo. E non ci vuole neanche troppa pazienza: il mondo va là e basta guardarsi intorno. Il grande fratello fiscale, come quello digitale sociale, esiste già. Semmai, come in Circle, la sfida del futuro per noi contribuenti, cittadini, utenti, sarà quella di sfuggire a questa morsa.

Nicola Porro, Il Giornale 20 ottobre 2019

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