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Il grande slam di Djokovic: compra l’80% dell’azienda di cure anti Covid

Il campione serbo cacciato dall’Australia. Le motivazioni della sentenza: “Un pericolo per l’ordine pubblico”

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C’è chi già lo accusa di aver fatto una mossa mediatica. Chi addirittura che la sua battaglia contro l’Australia sia servita a far volare il valore delle azioni. Ma la verità è che Novak Djokovic, cacciato da Canberra e escluso dagli Australian Open, ha messo a segno il suo grande slam: mentre il mondo lo accusava di essere un no vax (viva la libertà di scelta ed espressione), lui investiva i suoi soldi in una compagnia danese che lavora per sviluppare un trattamento per le cure del Covid.

L’investimento di Djokovic sulle cure anti covid

Altro che negazionista, dunque. Se Nole pensasse che il Covid non esiste forse farebbe a meno di buttare le sue finanze, per quanto cospicue. Il campione, tornato a casa e acclamato dalla sua Serbia, detiene l’80% della QuantBioRes. Ivan Loncarevic, numero uno dell’azienda, ha spiegato che l’investimento risale al giugno del 2020, dunque a pochi mesi dall’esplosione dell’epidemia, anche se non ha voluto specificare a quanto ammonti. Metà della quota appartiene direttamente a Djokovic, il restante 40% alla moglie Jelena. QuantBioRes sta cercando di sviluppare un peptide in grado di inibire l’infezione da Sars-CoV-2. Gli studi sono ai primi stadi, certo non si tratta di un’azienda enorme come la Pfizer, ma gli studi clinici verranno avviati quest’estate in Gran Bretagna. Ovviamente, e pare sciocco anche dirlo, non si tratta di un vaccino.

La sentenza della corte australiana

Intanto oggi la corte suprema australiana ha pubblicato le motivazioni della sentenza con cui aveva rigettato il ricorso di Djokovic contro la decisione del governo di annullargli il visto d’ingresso nel Paese. James Allsop, capo del collegio di tre giudici della Federal Court, ha scritto che “un’iconica star del tennis può influenzare persone di tutte le età, ma soprattutto i giovani e più suggestionabili, e spingerli ad emularlo. Questa non è una fantasia, non servono prove”. E dunque il governo aveva tutto il diritto di rispedirlo al mittente.

Guerra alle idee di Djokovic (tra vaccino e cure anti Covid)

Questo dimostra, se mai ve ne fosse stato il bisogno, che avendo perso la battaglia legale sul visto d’ingresso (la prima sentenza era stata favorevole a Novak), di fatto il governo australiano ha “punito” Djokovic per le sue idee in tema di vaccini. Il ministro dell’immigrazione Alex Hawke ha esercitato un potere personale previsto dal Migration Act del 1958 considerando il tennista una minaccia, anche solo potenziale, per l’ordine pubblico, la salute e la sicurezza dei cittadini. Giusto o sbagliato che sia dichiararsi “no vax”, una riflessione questa decisione dovrebbe tuttavia produrla: perché nessuno dovrebbe esultare se un Paese democratico vieta a chicchessia di entrare a causa delle sue opinioni, per quanto strambe e deprecabili. Djokovic non sarà un santo, ha sbagliato e non poco, ma chi esulta per le disgrazie altrui è ben peggio di lui.

“Rischio per l’ordine pubblico”

Fatto sta che il governo australiano ha vinto la battaglia. Sia chiaro: i giudici non sono entrati nel merito della decisione, cioè non hanno valutato se fosse giusto o meno dare il benservito a Novak, si sono limitati a valutare se la decisione del ministro rientrava nei limiti previsti dalla legge. Hawake lo a ritenuto un pericolo per la società perché contrario al siero anti-Covid e perché la sua presenza poteva diventare un rischio per l’ordine e la salute pubblica. Inutili le contro-deduzioni degli avvocati del numero 1 del tennis mondiale.
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