Il libro per capire il Pci e il Psi nella Milano da bere

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C’è un piccolo grande gioiello in libreria. L’autore è Lodovico Festa (La confusione morale, Sellerio editore) che mette in campo la sua storia anche personale, una profonda cultura non solo politica, e uno sguardo lucido e disincantato sull’Italia di 35 anni fa, come momento in cui si generarono e furono messe in circolo tossine con le quali stiamo ancora facendo i conti.

Siamo nel 1984. Festa costruisce (come cornice e pretesto) un giallo: l’omicidio di un geometra comunista di un assessorato milanese. La giunta – come ricorderanno i non giovanissimi – era guidata dai socialisti del Psi ma con una partecipazione del Pci. Esattamente nei mesi nei quali invece, sul piano nazionale, si andava facendo più dura e velenosa la polemica dei comunisti contro Bettino Craxi.

Chi vuole potrà divertirsi con il gioco del “chi è”: il romanzo è a chiave, con una serie di cognomi ricostruiti e riadattati dietro cui si celano – tra gli altri – Tognoli, Quercioli, Berlusconi, Ligresti, Pecchioli, Minucci, Violante, Pajetta, Beria d’Argentine, e tante altre figure della politica, dell’imprenditoria, della giustizia.

Ma, al di là del divertissement sui nomi, e oltre alla sapiente architettura giallistica, ci sono almeno tre piani di lettura, uno più interessante dell’altro.

Il primo – interno al mondo comunista ma con riflessi su tutta la politica italiana – è il rapporto tra i miglioristi che scommettono sulla collaborazione con il Psi, e invece una dirigenza nazionale (post)berlingueriana che rinuncia a fare politica, e sceglie una contrapposizione sempre più dura e astiosa verso Craxi essenzialmente per autoconservarsi, in modo miope e senza gran respiro.

Il secondo è l’affacciarsi della dicotomia onesti/disonesti come crociata moralistica che alcuni pensano di poter condurre contro i propri avversari politici, riducendoli a mostri, a icone del male, a nemici da abbattere. Qui Festa ha mano felice nell’immaginare (diciamo immaginare, perché vogliamo essere ottimisti) l’azione di pezzi dello stato, spezzoni di mondo giudiziario e investigativo, che iniziano a pensare di assumere su di sé questa funzione purificatrice e catartica, da arcangeli sterminatori. E la diagnosi è lucidissima: con un’alleanza tra quei mondi, più qualche banchiere, alcuni grand commis, e settori di borghesia “azionista”, che rifiutano la dimensione riformista (che pure amano predicare) per puntare alla delegittimazione morale degli altri, per ridurre la storia della Repubblica più o meno a una vicenda criminale, alla quale occorre costruire un’”alternativa”.

Il terzo piano è la scoperta che il narratore (Mario Cavenaghi), disincantato funzionario del Pci e forse alter ego di Festa, fa della dimensione privata dell’esistenza, così a lungo sacrificata alla disciplina di partito. Ci sono pagine di enorme delicatezza, di ironia e insieme di commozione, di passione mai fanatica, di attenzione sincera alla trasmissione di valori ed esperienze, e soprattutto uno studio del “fattore umano” che sarebbe molto piaciuto a Graham Greene.

Festa offre una prova splendida, della quale – credo – ogni lettore gli sarà grato. E dovranno essergli grati anche i mondi, le aree, le correnti e gli ambienti politici che evoca: per tutti, per quelli a lui più vicini e per quelli a lui più lontani, l’autore riesce a compiere un’operazione di immedesimazione psicologica rispettosa, mai caricaturale, autenticamente propensa a capire, prima che a giudicare.

Daniele Capezzone, 25 marzo 2019

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