Cultura, tv e spettacoli

“Il mio nome è Bond e sono bianco”: lo 007 batte il woke

Il nuovo attore scelto per il celebre film non sarà nero, come ipotizzato. I feticci politically correct stanno cadendo nella polvere uno dopo l’altro

james bond

L’autoelettrica è morta, il green sta lì lì e anche James Bond non si sente molto bene. Quello in versione woke, s’intende. L’originale gira ancora benissimo come una vecchia Jaguar, vecchia ma eterna. Succede quanto segue. Che il creatore dell’agente segreto più famoso di tutti i tempi, Ian Fleming, si sia beccato pure lui accuse di razzismo, sessismo, fascismo, tutta paccottiglia, vaccate woke che ormai quasi quasi sono diventate un must, se nessuno te le tira dietro non sei nessuno.

Eppure la gente, i lettori, il pubblico se ne sono impipati e “Bond, James Bond” è rimasto al posto che gli spetta. Siccome mr Bond è anche una macchina da spettacolo, e quindi da soldi, Hollywood s’ammazza nel cercare sempre nuovi volti per nuove versioni al passo con i tempi, come si dice. E siccome questi sono tempi gelatinosi di marmellatine fluide, sono piovute ipotesi le più politicamente corrette: Bond afro, Bond gender, Bond afrogender, Bond palestinese, Bond green (sì, forse di bile), Bond gretino, Bond donna (non è chiaro se Bionda, magari Salata), Bond trans, Bond cis, Bond influencer, Bond piddino, Bond che vota Biden, Bond virologo, Bond che si vaccina, cinquemila sfumature di James Bond come con le Barbie. Ebbene, tutto appassito, tutto travolto dalla tradizione: il posto, signore e signore (signori no, che poi Cecchettin redento magari s’incazza), va a…

… a Aaron Taylor Johnson. Inglese che più inglese non si può. Britannico maschio bianco occidentale non si sa se tossico o meno ma tiè. Dopo Capitan America, gli Avenger, John Lennon, tutte icone classiche, oltre ad altri ruoli ancora, adesso gli tocca la spia che mi amava, che viene dal freddo, eccetera. Buon ultimo dopo i vari Sean Connery, Roger Moore, Daniel Craig, “tutti bianchi erano”, e qui la citazione è per gli espertoni.

Potenza della tradizione? Sì, d’accordo, ma è una tradizione che viene tirata fuori, che viene rispettata quando torna comodo, quando le altre opzioni si sono dimostrate perdenti. Coincidenze esoteriche, convergenze parallele, auto e Bond: Dacia, subito seguita da altri marchi, ha annunciato la scomparsa degli schermi che trasformano l’automobile in un computer: troppi incidenti, ma, soprattutto, la snaturazione di un feticcio novecentesco che la gente vuole resti tale, pur nel rispetto della modernità: l’uomo vuole guidare e guidare significa condurre un veicolo: non venirne condotto. Non la perdita di controllo. Al posto degli schermi, un vano portaoggetti fatto apposta per incastrarci lo smartphone: costa molto meno e sgrava le case automobilistiche da cause per incidenti sempre più frequenti. Del resto, suona abbastanza grottesco che le legislazioni di tutto l’Occidente proibiscano sempre di più chi guida telefonando e poi si disinteressino di un’automobile trasformata in un enorme telefonone che ti conduce lui. Allora che hanno fatto le case produttrici? Le paracule, more solito: lanciano una app che trasforma il telefono nella centrale operativa del mezzo, praticamente la stessa cosa di prima ma la responsabilità è tutta del proprietario. Amen.

Con Bond è più o meno lo stesso. Sì, facciamoli pure i film con le trame più wokkizzate, ambientamoli negli emirati, riempiamoli di femmine di tutti i meridiani, farciamoli di tutti i messaggi corretti possibili, ma l’eroe resta lui. Si sono accorti, dalle parti di Hollywood, che i salti troppo ostentati non pagano; che dalle birrette alle Neraneve e i 7 fluidi, alle Sirenette carbonate, all’Omo-Ragno, ‘sta roba non funziona. La gente non la vuole. La gente vuole almeno l’illusione di “condurre” lei il sogno. Non di farsene condurre. Non di farsi sognare. Non di farsi irretire. Educare. Stravolgere. E allora, Bond, James Bond, resta in scia, con una faccia che più britannica non si potrebbe. Tu chiamala, se vuoi, modernità che si protende, si protende, ma alla fine ha bisogno di ripiegarsi nel passato per poter ricoprire il futuro.

È sempre così e sempre sarà. Un’altra cosa. Se i feticci woke stanno cadendo nella polvere uno dopo l’altro, è certamente perché la loro carica moralistica, autoritaria, innaturale risalta in tutta la sua insostenibilità; ma anche perché i rispettivi testimonial sono uno più odioso dell’altro. Sono fasulli e prepotenti, i loro sorrisi stereotipati sono ghiacci, i loro occhi cattivi, la loro inclusione razzista e discriminatoria. Andateveli a vedere. Ricordate il trans della birra Bud. Ricordate l’arroganza di chi pretende (finge) di “cambiare sesso”.

La strafottenza di chi con una smorfia ti dice: a me della tua storia, della favola bella, del Novecento, della natura, della biologia, della logica non me ne fotte niente: d’ora in avanti si fa come dico io, come diciamo noi, se no sei fuori dal tempo e verrai falciato. Ecco, dopo anni di questi ricatti, imposti non si sa bene da chi, da èlite dementi, il mercato si riprende l’ultima parola: gli idoli sono imbecilli, gli oggetti sono assurdi, la fluidità della mente è menzogna, James Bond resta chi era. E sembra dirci: anche tu, se vorrai, puoi rimanere nella tua dignità, senza svenderti alla follia. Si vive solo due volte, ma non è detto si debba vivere da celenterati.

Max Del Papa, 21 marzo 2024

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