Il reportage/4. L’Albania e quel sistema che blocca lo sviluppo

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Una delle principali richieste dell’Unione europea per l’adesione dell’Albania è stata la riforma della giustizia approvata nel 2016, sostenuta anche dagli Stati Uniti con l’obiettivo di limitare lo strapotere dei magistrati, evitare episodi di corruzione e diminuire il potere della politica sulla magistratura. La sua approvazione è avvenuta dopo un lungo iter e numerose polemiche, chi ne conosce in modo approfondito il funzionamento è Petrit Vasili, già Ministro della Sanità dal 2009 al 2012 con il governo Berisha, e Ministro della giustizia dal gennaio al maggio 2017 nel governo Rama.

Vasili parla perfettamente italiano e ci racconta di suo figlio che studia in Italia, non appena affrontiamo il tema della riforma della giustizia il suo volto si incupisce e scompare il sorriso: “Il governo Rama ha compiuto una serie di forzature inaccettabili con la riforma della giustizia, una di questa è legata all’elezione del Procuratore Generale Temporaneo. La sua elezione è avvenuta solo con i voti della maggioranza socialista che sono stati 69 invece degli 84 richiesti e, nonostante fosse contrario alla costituzione, l’Unione europea ha accettato il voto. Finché non ci sarà un vero e proprio procuratore generale, una figura potentissima nell’ordinamento giuridico albanese, quello temporaneo è sotto il controllo di Rama con tutto ciò che ne consegue”. Nonostante la volontà del governo di entrare nell’Ue, l’apertura dei negoziati con l’Albania e la Macedonia del Nord è stata rimandata al prossimo, una grave sconfitta politica che ha portato il primo ministro macedone Zaev a dimettersi, mentre Rama ha mantenuto la sua posizione limitandosi ad accusare Macron a causa dell’opposizione francese all’ingresso albanese e macedone.

Eppure, camminando per le strade di Tirana, si ha la sensazione di una città e di una nazione in forte crescita che si sta avvicinando agli standard di vita dell’Europa occidentale, d’altro canto l’economia cresce ininterrottamente da anni e nel 2018 il tasso di crescita ha superato il 4%.
La vita culturale in città è viva e una parte della società civile si oppone alle dinamiche che governano il paese. A inizio novembre c’è stata un’importante mostra di protesta realizzata dall’artista italo-albanese Avni Delvina presso il Teatro Nazionale. Da diversi mesi questa struttura storica è in pericolo perché il governo e il comune di Tirana vogliono raderla al suolo per lasciare spazio all’ennesimo abuso edilizio che potrebbe portare alla costruzione di un nuovo grattacielo.  La stragrande maggioranza degli artisti e degli intellettuali si è opposta istituendo un’associazione per la protezione del teatro (Aleanca për Mbrojtjen e Teatrit), occupando pacificamente la struttura e promuovendo diverse attività teatrali e non solo.

Se corruzione, narcotraffico e opacità nei processi democratici fossero superati, l’Albania potrebbe rappresentare un’eccellenza nei Balcani con possibilità di turismo ancora inesplorate e potenzialità di sviluppo gigantesche. Il sistema che si è venuto a creare blocca però anche i grandi investimenti stranieri, italiani in primis. Sebbene siano tante le aziende italiane ed europee di servizi attive in Albania, ad eccezione dei call center, le delocalizzazioni sono realizzate in prevalenza da piccole e medie aziende piuttosto che da grandi multinazionali che guardano con maggiore interesse ad altre nazioni anche nell’area dei Balcani.

Solo normalizzando il proprio sistema democratico e garantendo uno stato di diritto funzionante a tutti gli effetti, l’Albania riuscirà a creare un’economia avanzata in grado non solo di attrarre investimenti esteri ma anche di creare un mercato del lavoro attrattivo per i tanti giovani albanesi costretti a emigrare per costruirsi un futuro migliore.

Francesco Giubilei

Il reportage/1 – L’Albania e la minaccia di una nuova migrazione verso l’Italia

Il reportage/2 – L’Albania e quel rapporto tra politica e narcotraffico

Il reportage/3. L’Albania e il caos elezioni

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