Guerra in Medio Oriente

Il terrorismo palestinese funziona

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C’è una specie di accanimento, negli osservatori, nel definire Hamas un gruppo terrorista. Lo è certamente, anche se questo non esclude che sia tutt’altra cosa da Al Qaeda o dall’Isis: non è un’organizzazione clandestina, segreta. E neppure una multinazionale del terrore: ha solidi legami di massa, a Gaza. Quello che sorprende, nell’accanimento, è lo stupore, che si confonde con l’orrore del 7 ottobre. Bisognerebbe ricordarsi che la questione palestinese si è imposta all’agenda del mondo grazie al terrore, ben prima di Hamas.

Cosa erano i dirottamenti aerei? Cos’erano, per restare solo all’Italia, le bombe al Cafè de Paris di via Veneto a Roma, o l’uccisione di un impiegato della El Al con un colpo alla nuca? Cos’erano le stragi di Fiumicino – 32 vittime – o il fallito attentato di Ostia? Ci siamo dimenticati che Yossef Romano, il lottatore ebreo di origine italiana venne ucciso ancora prima degli altri olimpionici israeliani, a Monaco di Baviera nel 1973, e violentato ed evirato? Ci siamo dimenticati dell’ebreo invalido Leon Klinghofer ucciso sulla nave italiana Lauro? La realtà è che il terrorismo ha funzionato. Ha dato ai palestinesi uno status internazionale, gli ha guadagnato simpatie e solidarietà, comprensione e giustificazione. La realtà è che i palestinesi non hanno mai imboccato una strada di opposizione non violenta, di disobbedienza civile – che forse li avrebbe fatti uscire dal vicolo cieco in cui si trovano – e nessuno li ha davvero incoraggiati a farlo.

Bastava la condizione umiliante di semilibertà in cui si trovano nella West Bank e a Gaza ad accettare il terrorismo, o almeno a spiegarlo? A molti tra di noi basta: in fondo anche gli assassini di Monaco di Baviera venivano da Sabra e Chatila, poveretti. L’unica differenza tra il vecchio terrorismo palestinese e il nuovo terrorismo è che quello di Hamas ha una forte impronta religiosa, che lo peggiora. E mentre il vecchio terrorismo era comunque pensato come un mezzo per ottenere un fine, quello di Hamas riassume in sé il fine: cancellare gli ebrei, distruggere Israele. Fare il 7 ottobre per uccidere per sempre ogni possibilità di dialogo, per tagliare per sempre i ponti. Pensate che Hamas non si immaginasse quello che sta avvenendo ora? Lo ha cercato, e raccoglie.

Raccoglie solidarietà da Teheran e Mosca, e calore umano dai tifosi del Celtic agli universitari americani, da disegnatori che hanno scordato Charlie Hebdo a ragazzi con la kefia che assomigliano alla ventiduenne Shani Louk o alla sedicenne Armita, e ne evitano il ricordo. Non mi scandalizza: sono i riflessi obbligati di quel che resta delle ideologie, e una legittima angoscia per la sorte dei civili palestinesi. Essendo un angolo di mondo dove il perdono non è di moda, hanno cominciato a morire, questi innocenti palestinesi, il 7 di ottobre, quando qualcuno faceva quello che ha fatto nei kibbutz, e sapeva quel che ne sarebbe venuto, quando qualcuno festeggiava, quando qualcuno portava gli ostaggi con gambe disarticolare come burattini su cui sputare in festose parate dentro Gaza.

Hanno cominciato a morire molto prima, quando i loro dirigenti, aiutati dai dirimpettai estremisti israeliani, hanno rifiutato ogni accordo, hanno educato all’odio, hanno pensato che è meglio il peggio, e che la speranza è pericolosa. A vedere come parte del mondo oggi mette Israele sul banco degli imputati, hanno avuto ragione, il terrorismo paga.

Toni Capuozzo, 31 ottobre 2023

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