È tornato in libertà Rachid Karroua, 46 anni, cittadino di origine marocchina residente a Barghe, in provincia di Brescia, arrestato lo scorso marzo con l’accusa di addestramento con finalità di terrorismo. A disporre il rilascio è stato il Tribunale del Riesame di Brescia, che ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari di Perugia. Una decisione che segna un passaggio cruciale in un’indagine che aveva suscitato forte attenzione, anche in ambito istituzionale, per i suoi legami con l’estremismo islamico – inneggiava alla jihad – e la presunta attività di auto-radicalizzazione maturata in ambito digitale.
L’inchiesta ha preso le mosse lo scorso novembre, coordinata inizialmente dalla Procura di Perugia e condotta dalla Polizia Postale, che aveva monitorato l’attività online dell’indagato su alcune piattaforme di messaggistica istantanea, in particolare Telegram e WhatsApp. Secondo gli investigatori, Karroua avrebbe frequentato gruppi chiusi di ispirazione jihadista, riconducibili all’ideologia dello Stato Islamico, all’interno dei quali circolavano contenuti violenti, inni alla guerra santa e istruzioni per la fabbricazione di ordigni rudimentali. Con l’evolversi degli accertamenti, la competenza territoriale è passata alla Procura di Brescia, che ha approfondito il profilo dell’uomo. Le perquisizioni nella sua abitazione hanno portato al sequestro di diversi appunti in lingua araba, tra cui testi che, secondo gli inquirenti, inneggiavano alla jihad e contenevano schemi relativi alla costruzione di armi artigianali.
“Ho consultato quel materiale in rete e mi sono iscritto a quei gruppi solo per curiosità, non sono un terrorista” la versione dell’operaio riportata dal Giornale di Brescia. Entrando più nel dettaglio delle accuse, l’uomo ha spiegato di essere padre di cinque figli, tutti studenti, che dipendono economicamente da lui e che mai avrebbe fatto qualcosa che gli impedisse di continuare a provvedere ai suoi familiari.
Impiegato in ambito industriale, Karroua risultava fino a quel momento sconosciuto alle forze dell’ordine. Da anni residente in Italia, appariva ben inserito nella comunità locale della Valsabbia. Proprio questa distanza tra il suo vissuto pubblico e le ipotesi d’accusa ha contribuito ad accendere il dibattito sulla difficoltà di individuare tempestivamente fenomeni di radicalizzazione, spesso confinati alla sfera privata e virtuale. Durante gli interrogatori, l’uomo ha negato qualsiasi intento violento, sostenendo di aver partecipato ai gruppi online per semplice curiosità religiosa e interesse personale verso la storia dell’islam. Una versione che ha trovato credito presso i giudici del Riesame, secondo i quali non vi sono elementi concreti che giustifichino la permanenza in carcere.
La revoca della misura cautelare, tuttavia, non segna la fine del procedimento giudiziario. La Procura di Brescia proseguirà l’esame del materiale sequestrato e dei contatti mantenuti da Karroua nei mesi precedenti all’arresto. Gli investigatori vogliono stabilire se si sia trattato di un comportamento ideologicamente ambiguo, ma non penalmente rilevante, o se vi siano elementi tali da configurare un’effettiva minaccia.
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La vicenda di Karroua ripropone un interrogativo non nuovo, ma sempre attuale: come distinguere tra espressione di opinioni radicali, seppur discutibili, e preparazione concreta ad atti violenti? Una questione che tocca il delicato equilibrio tra sicurezza e libertà individuali, e che richiede – oggi più che mai – strumenti di valutazione accurati e una lettura approfondita dei contesti digitali in cui simili fenomeni possono maturare.
Franco Lodige, 10 aprile 2025
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